Titolo originale: Twenty Cups Ch. 04
Autore: fsqueeze
Link all’opera originale: https://www.literotica.com/s/twenty-cups-ch-04
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Camminai per circa due isolati prima che un amico mi venisse a prendere e mi portasse a casa sua. In macchina ho dovuto mettere il telefono in vibrazione perché la mamma non smetteva di chiamare.

Pochi minuti dopo l’ho messo su “silenzia tutto”. Era implacabile.

I messaggi sono iniziati quando siamo arrivati a casa del mio amico.

“Devi rispondere?”, mi chiese alla fine.

Scossi la testa.

Abbiamo giocato per un po’ nel suo seminterrato. Quando andò a prendere qualche snack, controllai il telefono. Erano le 11 passate e la mamma mi aveva chiamato nove volte. C’erano anche sette messaggi da parte sua. Non li ho letti.

Ma vidi un messaggio inviato da Lia pochi minuti prima. Lo lessi.

“Mandami un messaggio”, mi scrisse.

Io risposi: “Sì?”.

“Rispondi alla mia chiamata?”.

“OK”.

Mi chiamò pochi secondi dopo. Dopo che ho risposto, mi ha detto: “Lascia che passi a prenderti così possiamo parlare, ok?”.

Ho esitato.

Lei mi rassicurò. “Solo per qualche minuto e poi ti riaccompagno”.

“Va bene. Quando?”.

“Dove sei?”

Glielo dissi.

“Arrivo tra cinque minuti”.

Spiegai al mio amico come stavano le cose e lui era decisamente confuso, ma non si impuntò.

Lia arrivò nel suo vecchio SUV blu. Emma era in macchina. Io salii dietro.

Dissi: “Ehi, Em”.

“Ciao”.

Rivolgendomi a Lia, dissi: “Non so cosa ti abbia detto la mamma, Lia, ma non mi sarei mai approfittato di te. Non ti ingannerei mai o cose del genere. Vi voglio bene. A tutte e due”.

“Lo so”, disse lei.

“Non le hai creduto?”.

Mi guardò nello specchietto retrovisore. “Beh, forse me lo sono chiesto per qualche secondo, ma più ci pensavo e più sapevo che si sbagliava”.

Sospirai. “Grazie, Lia”. La vidi svoltare. “Dove stiamo andando?”.

“A casa, se per te va bene”, disse.

“Co… no! Non va bene. Non voglio vedere la mamma. Torna indietro!”.

“Calma”, intervenne Emma, “la mamma non è in casa. È andata in ufficio”.

“Oh”, dissi io, rilassandomi. “Perché a casa?”.

Emma e Lia si guardarono l’un l’altra e poi Emma disse: “Abbiamo detto a mamma che avremmo cercato di assicurarci che tu procurassi il prossimo campione”.

“No”, senteziai. “Non se ne parla. Ho chiuso con i suoi campioni”.

“Per favore, lo farai?” Chiese Lia.

“No.”

Chiese Emma: “Ma, almeno, ci ascolterai?”.

Sospirai. “Ok, cosa?”

Cominciò Lia. “Hai ancora sette contenitori da riempire per arrivare a venti e…”.

La fermai lì. “Ne servono solo dieci per fare il test. Venti era perché il dottore se n’è andato. Ne abbiamo abbastanza”.

“Ma mamma ha pagato per venti e le analisi di laboratorio sono molto costose”.

“Può farsi rimborsare”.

“In realtà non può.”

“Cosa?”

“Gliel’ho chiesto. Non può.”

“Oh, beh. Allora, i soldi sono già stati spesi. Ne avranno tredici. Tre in più di dieci, giusto?”.

“Due cose. Uno: la mamma dice che con dieci la precisione è del 95%, ma con venti è più vicina al 99%. Lei vuole il 99%. Secondo, sai quanto siamo in ristrettezze con tutti e tre all’università. Non possiamo buttare via i soldi in questo modo. Sai che non possiamo”.

Sospirai.

Emma intervenne. “Inoltre, mamma sta dando di matto. Sta dando di matto. È come… super arrabbiata e…”.

“Spaventata”, concluse Lia.

“Già. Ha paura”, concordò Emma come se se ne rendesse conto per la prima volta.

“Paura? Perché?” Chiesi.

Le mie sorelle rimasero entrambe in silenzio per un momento, poi Lia parlò mentre guidava. “Probabilmente non ve lo ricordate, ma vederla e sentirla al telefono prima che venissimo a prenderti? Mi ha ricordato com’era… non so… com’era dopo che papà ci ha lasciato”.

Emma e io rispondemmo con il silenzio.

Lia disse: “È arrabbiata e terrorizzata”.

Chiesi: “Ma perché? Capisco la rabbia. Non capisco il terrore”.

Nessuno parlò per alcuni lunghi secondi e alla fine Lia disse: “Non lo so”.

Emma ruppe il silenzio successivo chiedendomi, senza mezzi termini: “Allora, lo farai? Potrebbe far sentire meglio la mamma”.

Cercando di sorridere, chiesi: “Una di voi mi aiuterà?”.

Entrambe risposero “No”, quasi contemporaneamente.

“Perché no?”.

“Mamma”, rispose Emma.

“Mamma”, concordò Lia.

Sospirai. “Va bene”.

Emma si girò verso Lia e disse: “Vedi? Te l’avevo detto. È un bravo ragazzo”.

Lia annuì, rallentò e svoltò.

Emma mi guardò da sopra la spalla e mi sorrise con gioia.

Stavamo tornando a casa.

***

In casa, prima di entrare nella mia camera da letto, chiesi alle ragazze: “Cosa farete voi due?”.

“Aspettiamo che tu finisca”, rispose Emma.

Lia aggiunse: “Quando avrai finito, ti riporteremo a casa del tuo amico, quindi sbrigati”.

Annuii e mi avviai verso la mia stanza. Potevo sentire i rumori soffocati delle loro chiacchiere nella stanza accanto a quella di Lia.

Mi spogliai fino ai boxer e presi il contenitore. Quando mi misi a letto, non potei fare a meno di pensare alla mamma.

Era arrabbiata.

Era arrabbiata? Mamma? No, ero io che dovevo essere arrabbiato.

Ma in realtà non lo ero. Non più.

Mi dispiaceva solo per lei. Aveva paura. Non capivo perché, ma questo non mi rendeva meno triste per lei. Odiavo pensare a lei in quel modo, come se fosse spaventata. Mi chiesi come fosse stato per lei quando papà ci aveva lasciato. Mi chiesi cosa avesse visto Lia, la bambina di sette anni, in sua madre in quei giorni e nelle settimane successive.

Perché ero abbastanza sicuro di non aver mai visto la mamma terrorizzata.

Arrabbiata? Sì, l’avevo vista, molto. Paura? No.

Sollevai la cintura dei boxer e guardai il mio pene. Non c’era modo di avere un’erezione.

Avevo bisogno di una distrazione.

Dopo aver bussato, Emma arrivò, aprì la porta e disse: “Non è possibile che tu abbia finito”.

“No. Non ho nemmeno iniziato”.

Lia si sedette sul lato del letto di Emma. Disse: “Non ce ne andiamo finché non hai finito”.

“Sì, sbrigati”, aggiunse Emma.

“Non posso.”

Emma abbassò lo sguardo e vide il contenitore dei campioni nella mia mano. “Non ti toccheremo, se è questo che stai pensando. L’abbiamo promesso alla mamma”.

Lia chiese: “Perché non puoi farlo?”.

Alzai il palmo della mano per vedere se potevo entrare.

Emma aprì completamente la porta e io entrai. Si sedette accanto a Lia sul letto; io andai a sedermi sulla sedia vicino alla scrivania di Emma.

Dissi: “Non riesco a smettere di pensare alla povera mamma, alla sua paura e a tutto il resto”.

“Prendi il tablet. Guarda i video del tuo culo”, suggerì Emma.

Io ho respinto la sua raccomandazione. “Non distrae abbastanza”.

Lia chiese: “Non puoi toccartelo per avere un’erezione? Non funziona?”.

“Non quando sono preoccupato per la mamma”, risposi.

Nessuno parlò per un po’, poi vidi Emma che mi guardava stranamente come se mi stesse guardando attraverso, pensando.

“Se riesco a chiamarla e a dirle che abbiamo il tuo prossimo campione, allora si sentirà meglio. La renderai felice”, dichiarò Lia.

Scrollai le spalle, fissando il pavimento. Trascorsero alcuni secondi.

“Emma”, esordì Lia, “cosa stai…?”.

Quando alzai lo sguardo, Emma stava gettando il suo maglione azzurro sul pavimento. Si girò verso Lia. “Lo sto solo facendo entrare nell’atmosfera”. Si allungò dietro la schiena.

“Ma…”

“Non lo toccherò, Lia”. Quando le sue mani tornarono sul davanti, fu chiaro che il reggiseno era slacciato.

Vidi Lia voltarsi verso di me, ma io stavo guardando Emma, avevo gli occhi incollati su di lei.

“Dai, Lia. Anche tu. Fagli vedere le tette”. Emma si tolse il reggiseno. Cadde a terra accanto al letto. Si prese i seni e li strinse.

I miei boxer si strinsero nel punto sbagliato. Mi aggiustai.

Emma se ne accorse e disse: “Vedi? Credo che funzioni. Vieni”.

Lia mi guardò e io annuii.

Indossava una felpa con cappuccio che si chiudeva sul davanti. La sua mano scivolò sul petto, le sue dita trovarono la cerniera e la fecero scivolare giù.

Emma la osservava.

Quando la felpa si tolse, Lia incrociò le braccia e si infilò la maglietta in testa. Mentre cadeva a terra, Emma si chinò di lato, dietro Lia, e le slacciò il reggiseno.

Lia guardò Emma, sorpresa, ma lasciò fare.

Il suo reggiseno cadde a terra. Guardai la vista delle mie sorelle, una accanto all’altra, con i loro pesanti seni scoperti. Rimasi a bocca aperta. “Voi due siete così incredibilmente belle”.

Gli occhi di Lia erano sul mio corpo. Quelli di Emma erano su quelli di Lia.

Emma quasi sussurrò quando parlò: “Guarda le tue tette, Lia. Porca puttana!”.

Lia abbassò lo sguardo su di sé e poi su Emma. “Guarda le tue”.

Emma lo fece e disse: “Sì, ma le tue sono più grandi”.

“Le tue sono… più pimpanti”, rispose Lia, e le due risero.

“Non di molto. Ti dispiace se tocco le tue per un secondo?”. Le chiese Emma.

Lia mi lanciò una rapida occhiata e poi fece perno sul letto verso Emma, con le braccia lungo i fianchi, il petto eretto e in avanti.

Emma allungò entrambe le mani e accarezzò i seni di Lia. Li prese a coppa e poi li strinse. “Cazzo, sono grandi”.

Lia tirò su la mano e tastò un seno di Emma. “Le tue forse sono un po’ più piccole”, disse, “ma sono anche un po’ più sode. Sono belle”. Il pollice di Lia scivolò sul capezzolo di Emma.

“I tuoi capezzoli sono uguali”, proposi.

Le loro mani si allontanarono l’una dall’altra e Lia ed Emma valutarono l’una i capezzoli dell’altra.

Emma disse: “In un certo senso lo sono”.

“Già”.

I palmi di Emma sfiorarono i capezzoli di Lia prima di pizzicarli delicatamente. Poi, unì le punte delle dita sul capezzolo, accarezzandolo.

Lia afferrò la mano di Emma.

“Cosa?”

“Comincio a sentirmi bene”, disse Lia con una risata. Emma fece lo stesso.

“Posso succhiarvi i capezzoli?”. Chiesi a entrambe.

“No”, dichiararono, praticamente insieme.

Emma mi guardò l’inguine, vedendo la mia erezione affollarsi contro l’interno dei boxer. Facendo un gesto a Lia, le due mi guardarono prima che Emma suggerisse: “Facciamogli vedere il culo. È un tipo da culo”.

Lia disse: “Aspetta”. Poi si rivolse a me. “Togliti i boxer”.

Mi alzai e li lasciai cadere. La mia erezione era incompleta, ma ben avviata. Mi sedetti di nuovo e le guardai mentre si alzavano, si giravano e si toglievano i pantaloni e le mutande. Sentii il mio petto ondeggiare. Respirai in silenzio. Deglutii e le fissai con lo sguardo.

Lia guardava Emma. “Ti sei depilata tutta?”.

“Sì, certo… aspetta. Oh, mio Dio! Hai un piccolo foruncolo rosso!”. Emma indicò l’inguine di Lia e le due scoppiarono a ridere.

“Allora?” Chiese Lia, ancora ridacchiando. “Mi sembrerebbe strano rasarmi tutta, come se fossi ancora una bambina”.

“Io amo la mia. Sentila”.

Per una frazione di secondo Lia esitò. Poi la vidi far scorrere le dita sulla montagnetta di Emma. Sussurrò: “Strano”. Ritrasse la mano.

“Fammi sentire la tua”, suggerì Emma.

Lia si girò, presentandosi.

Le dita di Emma si arricciarono tra i peli rossi e brillanti dell’inguine di Lia. Lei mormorò: “Un cespuglio della vecchia scuola”, e le due si lasciarono andare. Anch’io stavo ridacchiando.

“Fammi vedere il sedere”, disse Emma.

Lia mi voltò le spalle.

Emma le girò intorno e mise le mani sul sedere di Lia. Lo impastò e lo strinse. “Ti piace quando ti lecca il buco del culo?”, chiese.

“Sì”, rispose Lia ridacchiando. “È sexy. A te?”

“Te l’ho già detto: mi ha fatto venire un orgasmo facendolo. Beh, questo e lo sfregamento del mio clitoride”.

Lia si voltò. “Ricordi quando ti ho raccontato della nostra ultima volta? Quando mi ha sditalinato il sedere e poi si è masturbato nella tazza?”.

“Mm-hmm. E cosa mi dici?”.

“Beh, quello che non ti ho detto è che lui… beh, prima di eiaculare, gli ho lasciato mettere il suo pene nel mio sedere”.

Nel volto di Emma trasparì sconcerto. Fissò Lia. “Avete fatto sesso anale?”.

Lia annuì, sorridendo, prima di chiarire. “Mi ha solo infilato la punta, ed è stato solo per pochi secondi”.

“Oh, mio Dio, non ti ha fatto male?”.

Lia scrollò le spalle. “Un po’”.

Emma scosse la testa e poi disse: “Fammi vedere”. Si inginocchiò dietro Lia e le toccò il sedere.

Lia trasalì. “Aspetta! Cosa stai facendo, Emma?”.

“Voglio solo vedere. Lasciami guardare. Cosa sei, una puritana? Siamo nudi, Lia”.

Lia cedette.

Emma divaricò il sedere di Lia e scrutò il suo buchetto. “Ci sta il suo cazzo lì dentro?”.

“Non tutto, ma un po’. Sì”.

“Oh, merda”, sbuffò Emma. Poi la vidi abbassare lo sguardo sulla vagina di Lia. “Lia, sei bagnata”.

Lia si girò, ridacchiando. “E allora? Non posso farci niente! Ci sono mani morbide che toccano il mio corpo”.

Emma scosse il dito contro Lia. “Birichina”.

“Ok, tocca a te e vediamo come te la cavi. Alzati. Forza”.

Le due si scambiarono di posto. Lia accarezzò il sedere di Emma.

“Perché credi che gli piacciano così tanto i nostri sederi?”. Si chiese Emma.

Il modo in cui mi ignoravano mi ricordava le molte volte in cui al tavolo della cucina io, presente e mangiando in silenzio, ero l’argomento di una conversazione che si svolgeva in terza persona – lui, lui, lui.

Lia disse: “Non lo so. Forse i nostri sederi sono un po’ carini”.

“Ti sfido a baciarmi il culo”.

Lia sorrise. Emma si girò a guardare. Lia strinse le labbra e diede un bacio sul sedere rotondo di Emma. Poi lo fece di nuovo. E ancora. Quando si staccò, Lia guardò e poi allungò una mano sotto il sedere di Emma.

Emma trasalì.

Trionfante, Lia annunciò: “Bagnata!”.

“Merda. Lo sono.”

Lia si alzò in piedi. “Ti sfido. Stessa cosa”.

Emma sorrise. Si scambiarono i posti.

Prima accarezzando i fianchi di Lia, Emma si chinò in avanti e baciò una volta il sedere di Lia. Poi, baciò Lia proprio al centro, sulla linea scura dove le due metà bulbose si incontravano. Lia si contorse.

Ridacchiarono per un momento.

“Oh, merda. Guarda, Lia”.

Emma mi stava guardando. Lia si girò e i suoi occhi si spalancarono.

Fissarono il mio pene. Spuntava dal mio corpo e si estendeva oltre l’ombelico. Ero sicuro di non averlo mai visto più duro o più lungo. O più spesso. Le mie palle erano calde e pendevano in basso, e questo probabilmente aumentava l’apparente lunghezza della mia erezione dal punto di vista di Lia ed Emma.

“Guarda come l’abbiamo fatto diventare duro”, disse Lia. “Oh, è così incredibilmente sexy”.

Emma annuì in silenzio.

Lia si girò verso di me.

Emma alzò lo sguardo sul mio viso. “Cosa ti è piaciuto?”.

“Tutto.”

“No. Raccontaci. Dai”, insistette.

Io scrollai le spalle. “Non lo so. Voi due siete solo… siete così belle. Qualsiasi uomo sarebbe così”, dissi, abbassando lo sguardo sulla mia erezione. “Chiunque di loro. Non sai cosa fai agli uomini? Farei qualsiasi cosa per toccarti in questo momento”.

“Lo dici solo per farci sentire bene?”. Chiese Lia.

“No! Lo dico perché siete entrambe incredibilmente sexy”.

Il corpo di Lia sospirò visibilmente, come se le mie parole avessero allontanato qualche insicurezza repressa.

Emma si avvicinò a me in ginocchio. “Lia, vieni qui. Guarda”.

Lia si avvicinò e si inginocchiò accanto a Emma. I loro occhi erano incollati alla mia erezione.

Lia disse: “Em, non dovremmo…”.

Emma parlò sopra di lei. “Guardarlo”.

“Lo so.”

“I nostri corpi gli hanno fatto questo”.

“Lo so”.

Confidai: “Non solo corpi, anche i bei volti”.

Lei alzò lo sguardo su di me e sorrise. Anche Lia.

Quando lo sguardo di Emma tornò sul mio pene, disse: “Non sembra che abbia bisogno di essere succhiato?”.

“Emma!” mormorò Lia.

“Guardalo e rispondimi, Lia. Non sto parlando di lui. Sto parlando di lui. Ti sembra che abbia bisogno di essere succhiato?”.

Si guardarono negli occhi e poi Lia studiò per un attimo la mia erezione. Disse: “Sì”.

“È così, non è vero?”. Chiese Emma.

Lia annuì.

“Perché ho questa voglia di metterci la bocca sopra? Lo senti anche tu?”.

Lia annuì.

“Perché ci fa questo effetto?”. Si chiese Emma, continuando a fissare il mio pene.

“Io…”, Lia si schiarì la gola. “Non lo so”.

“Ti ricordi quanto ero bagnata prima?”. Chiese Emma.

“Mm-hmm.”

Sentilo adesso”.

Lia allungò la mano dietro e sotto Emma. Lei sussultò.

“Tu?” Chiese Emma.

Lia annuì.

“Fammi sentire”.

Emma fece scivolare la mano tra le cosce di Lia. Vidi le sue dita emergere, luccicanti. “Oh, merda”.

Si guardarono e poi si girarono verso di me.

Emma disse: “Non mi interessa quello che dice la mamma. Fammelo assaggiare”.

Lia esitò.

“Solo un po’. Per favore, Lia?”.

Lia annuì.

Gli occhi di Emma bruciavano mentre si sollevava in alto sulle ginocchia, presentandomi per un attimo i suoi seni nudi. Si avvicinò di più in ginocchio. Vidi la sua mano afferrare il mio pene e attirarlo verso di sé. Poi si chinò su di esso, allungando la lingua. Leccò la parte inferiore e si chinò sulla punta, prendendola tra le labbra.

Chiusi gli occhi e tirai un respiro affannoso quando sentii il calore umido. Quando li riaprii, Lia era chinata più vicino e guardava Emma. La mano di Lia strofinava delicatamente la schiena di Emma.

Emma si sollevò, si girò verso Lia e ansimò: “Cazzo, ha un buon sapore”.

“Lascia fare a me”.

Sorridendo, Emma piegò la mia erezione verso Lia, che si avvicinò e spalancò la bocca.

Grugnii quando sentii le sue labbra circondare l’asta.

Si ritrasse con un colpo secco.

Emma chiese: “Che sapore ha per te?”.

“Di sesso duro”.

“Sì!” Emma disse e si chinò verso di me per assaggiare di nuovo il mio pene. Quando si ritrasse, disse: “Muscoli e sudore caldo”.

Lia prese la mia erezione dalla mano di Emma. Si immerse su di essa, facendo scorrere le labbra sull’asta un paio di volte prima di staccarsi. Dopo qualche istante di silenzio, mentre Emma la osservava con attenzione, Lia dichiarò: “Potere. Sa di potere”.

Gli occhi di Emma si allargarono. “Sì, giusto! Potere! Ecco!”.

Seguì un pesante silenzio finché Lia chiese: “Cosa vuoi fare?”.

“La stessa cosa che fai tu, suppongo. Succhiarglielo finché non sborra”. Emma si girò verso di me. “Cosa vuoi?” Lei alzò lo sguardo su di me. “E tu cosa vuoi?”.

Entrambe attesero la mia risposta. “Non mi interessa chi lo fa”, dissi, “purché l’altra baci e tocchi chi lo sta facendo”.

“Baci e tocchi come?” Chiese Lia.

“Come prima”, risposi. “Niente di più”.

Le ragazze si guardarono. Emma disse: “Fallo tu, Lia. Succhialo tu”.

“Posso?”

“Sì. A patto che io possa farlo la prossima volta, ok?”.

Lia annuì.

Emma indietreggiò tra le mie gambe, lasciando entrare Lia.

Lia alzò lo sguardo su di me. Le ho detto mimando con la bocca: “Ti amo”.

Le sue labbra si arricciarono in un sorriso e i suoi occhi brillarono di gioia. Pochi istanti dopo, il mio pene era inondato dalla sua saliva. Feci scorrere le dita tra la massa dei suoi capelli rosso vivo, impastandole delicatamente il cuoio capelluto mentre la sua testa ondeggiava nel mio grembo.

Emma mi guardava da un lato. “Oh, merda, è sexy”.

Quando Emma mi guardò, sbuffai: “Toccala!”.

Emma si avvicinò a Lia da un lato. Fece scorrere una mano lungo la schiena di Lia, sul suo sedere e lungo la parte posteriore della coscia. Poi riportò la mano indietro e la allungò sotto il petto di Lia. Non potevo vedere, ma sapevo che stava toccando un seno di Lia. Mi guardò per avere l’approvazione.

“Bacia il suo corpo”, dissi.

Emma si avvicinò alla spalla di Lia e la baciò. Scese lungo la schiena di Lia, baciando la scapola, il sedere, la vita e, infine, la parte inferiore della schiena.

Ascoltai l’umido sbattimento del pompino di Lia, sentendo colate di saliva appiccicosa scorrere sui miei testicoli.

Emma mi guardò di nuovo.

Pronunciai: “Il suo sedere. Baciale il sedere”.

Emma strisciò dietro Lia. Spinse la gamba di Lia e Lia allargò le ginocchia. Emma si infilò in mezzo. Guardai i capelli di Lia lungo la morbida fessura della sua schiena fino al suo sedere, e il viso di Emma era lì, a guardarmi.

Vidi Emma piantare morbidi baci su ciascuna delle natiche paffute di Lia. Gemetti a quella vista. Lia, con la bocca piena di saliva e di pene, canticchiava.

Incoraggiata, mi sembrò, Emma si avvicinò e baciò il sedere di Lia proprio al centro. E ancora. Una delle mani di Emma si fece notare e passò sul sedere di Lia. Poi le sue mani strinsero la pelle con forza. Emma non guardava più la mia reazione; i suoi occhi sembravano fissi sul bel sedere della sorella. Aprì la bocca e si attaccò a una delle chiappe di Lia. Vidi i movimenti della sua lingua contro la natica, succhiando.

Lia gemette sulla mia erezione.

Gli occhi di Emma sembrarono sorridere e si sganciarono, spalancandosi. La sua testa scomparve dalla vista. Quando riapparve, stava trascinando la lingua su quello stesso globo, dal basso verso l’alto.

Lia gemette di nuovo e inarcò la schiena. La schiena si abbassò. Il suo sedere si arrotolò, presentandosi completamente a Emma. La curvatura e l’aspetto felino della sua nuova posizione mi provocarono ondate di eccitazione e gemevo a quella vista.

Emma mise le mani sul sedere di Lia. La strinse, si avvicinò e la guardò. Potevo vedere solo gli occhi di Emma e mi sembrava che stesse fissando la vagina di Lia. Poi alzò lo sguardo su di me.

Annuii e il volto di Emma scomparve lentamente dalla mia vista.

Passò un battito. Poi, le labbra di Lia ruppero il loro sigillo intorno alla mia erezione. Sussultò e si staccò.

“Emma, non dovresti”.

Ma il volto di Emma non riapparve. È successo qualcosa lì dietro, di nuovo.

“Oh!” Lia gridò. “Oh, Emma, non devi”. La convinzione nella sua voce svanì con l’ultima parola.

Un attimo dopo, l’espressione stupita di Lia si sciolse in un lento rapimento. La sua espressione successiva fu un lungo e alto gemito di squisita soddisfazione. Appoggiò il viso al mio pene e allungò le labbra sull’asta per baciarlo, ma prima di riuscirci chiuse gli occhi e gemette di nuovo. Appoggiò il lato della testa sulla mia coscia, lasciando che le sue labbra si posassero sulla mia erezione e, di tanto in tanto, tamponando l’asta sporgente con la lingua.

Le accarezzai i capelli, guardando alternativamente il suo viso e il suo sedere. Solo la sommità della testa di Emma e i suoi riccioli crespi spuntavano da dietro. Il viso di Emma era basso e profondo. I piccoli movimenti della testa mi dicevano che Emma stava lavorando, piena di energia.

Lia iniziò a trattenere il respiro, facendolo uscire dalla bocca spalancata in rantoli acuti. Quando aprì gli occhi, iniziò ad ansimare. I suoi occhi erano fissi sul mio pene. Sentivo gli sbuffi d’aria che lo attraversavano. Poi io e Lia ci guardammo negli occhi. Sembrava che stesse lottando per la vita, sopportando un piacere così intenso da essere una specie di agonia.

Le braccia di Lia mi avvolsero la vita e mi strinsero. I suoi occhi si chiusero di scatto. Gridò. Il suo corpo cominciò a contorcersi e vidi le mani di Emma sparire dal sedere di Lia. Riapparvero, avvolte intorno alle cosce di Lia, stringendo con forza.

L’orgasmo di Lia si scatenò. Gemeva senza inibizioni.

Emma non si fermò mai, finché non fu finito.

Quando le grida di Lia si ridussero in sospiri ariosi, abbassai lo sguardo sul suo viso. I suoi occhi erano chiusi. Fu la linea della sua mascella ad arrestarmi. Ansimava così dolcemente e la dolce pendenza della mascella, sotto la guancia, sembrava così perfettamente femminile in quel momento. Pensai che fosse la cosa più bella che avessi mai visto.

Il volto di Emma riapparve e leccò il sedere di Lia, facendo scorrere la lingua su ogni natica, baciando qui e là.

Questo risvegliò Lia. Aprì gli occhi e il mio pene era ancora lì, ancora duro. Tirandosi su, si leccò le labbra, prese fiato e abbassò la testa su di esso.

Emma mi guardò con un sorriso.

Io mormorai: “Il suo ano, Emma”.

Guardò in basso, verso il punto esposto di Lia, e poi di nuovo verso di me. Ci fu un attimo. Poi, il viso di Emma affondò tra le due sfere del sedere di Lia.

Capii che l’aveva fatto quando Lia gemette sul mio pene.

L’ondata di eccitazione, quando vidi il viso di Emma immergersi e sentii Lia gemere, mi scosse. Da ragionevolmente eccitato, il mio pene salì verso l’orgasmo imminente. Aggrappai il contenitore sulla scrivania accanto a me.

“Lia! Oh, mio Dio!” Grugnii. “Oh, è una sensazione incredibile”.

Guardai Emma.

Lei mi fece l’occhiolino, tirò fuori la lingua e si immerse verso l’ano di Lia.

“Lia!”

L’orgasmo sembrò una serie di piccole esplosioni. Ogni pulsazione era un picco acuto di piacere.

Le labbra di Lia si tennero strette e lei reagì alle raffiche di sperma che si perdevano nella sua bocca con un lungo e basso ronzio.

“Ancora”, grugnii.

Lia gemette nella mia erezione. Le contrazioni spremute le spararono in bocca in modo sconsiderato.

“Ancora, Lia”.

Il mio pene pulsò ancora un paio di volte e io lasciai uscire l’enorme respiro che avevo trattenuto. Sprofondai di nuovo nella poltrona.

Il palmo della mano di Lia apparve accanto alla mia vita, le sue dita si arricciarono due volte verso l’interno: “dammelo”.

Le misi il barattolino in mano.

Emma strisciò accanto a me e guardammo Lia che lasciava scivolare il mio sperma attraverso le sue labbra, riempiendo il contenitore.

Lia avvitò il coperchio e lo posò sulla scrivania. Si accasciò sulle mie ginocchia, la mia erezione che si stava lentamente sgonfiando le si afflosciò sul viso.

Emma si avvicinò e si sdraiò accanto a Lia sul mio grembo, rivolta verso di lei. Sussurrò: “Ti è piaciuto?”.

Lia annuì.

Emma sorrise, poi staccò il mio pene dalla guancia di Lia e se lo portò alla bocca. Lo succhiò dolcemente, senza cercare di iniziare qualcosa di nuovo, ma più che altro come se le piacesse averlo in bocca.

Strofinandole la schiena, le chiesi: “Emma, cosa vuoi che ti faccia?”.

Lei estrasse il mio pene dalla bocca e disse: “Un’altra volta. Voglio solo riposare un po’”. Poi lo rimise in bocca e lo succhiò delicatamente.

***

Mentre uscivo e mettevo il 14° campione nel congelatore, Lia chiamò la mamma e le disse che lei ed Emma avevano avuto successo: mi avevano convinto a riempire il barattolo del giorno. L’azione era compiuta; ora poteva rilassarsi.

Ho colto la fine della loro conversazione mentre salivo le scale ed entravo nella stanza di Emma.

“Mamma, perché fai tutte queste domande? Abbiamo il campione, è l’unica cosa che conta… Cosa?… No, mamma, Emma non lo ha aiutato a eiaculare… Non lo so! Chiedilo a lei!”.

Guardai Emma.

Lei scosse la testa: La mamma si comportava da mamma.

Lia continuò. “Non rispondo a questa domanda… No, non è per questo. Non rispondo perché devi smettere di preoccuparti per noi. Il campione è nel congelatore e… Oh, mio Dio, mamma!”. Lia smise di parlare per un attimo, poi la sua voce risuonò. “Sì, ok? Sì! L’ho aiutato. Gli ho succhiato il pene. Ho succhiato il pene di mio fratello e mi è piaciuto. Mi è piaciuto. È questo che vuoi sentire? … Sei proprio un’ipocrita! Anche a te piace farlo. Non dire che non ti piace… Ciao, mamma. Adesso riattacco. Ciao”.

Lia abbassò di scatto il telefono e premette il pulsante di fine chiamata. Guardò Emma e me. Scrollando le spalle, disse: “Non posso mentirle. Non posso proprio. Mi dispiace”.

Mi avvicinai e le diedi un bacio sulla guancia.

Lei mi guardò e chiese: “Hai dei preservativi?”.

Scossi la testa. “No”.

“Allora li comprerò stasera”.

***

La casa era silenziosa quando la mamma tornò a casa. Non parlò con nessuno. Non disse una parola mentre preparava la cena. Quando apparecchiai la tavola, non mi guardò nemmeno. Quando Emma servì, niente. Ci sedemmo e mangiammo in silenzio.

A metà della nostra zuppa di pollo e broccoli, la mamma si girò verso di me e disse: “Oggi pomeriggio ho avuto uno scambio di e-mail con Blair”.

Il mio cucchiaio si fermò brevemente mentre si dirigeva verso la mia bocca. Sentii che le ragazze mi guardavano.

“A quanto pare”, continuò la mamma, “non ci hai raccontato tutto della mattina di Natale”.

Ingoiai il cucchiaio e, con la massima disinvoltura possibile, chiesi: “Che cosa?”.

“Aveva molto da dire”.

“Che cosa ha detto?”.

La mamma sospirò. “Oh, giovanotto, quello che dice non ha molta importanza ora”. Alzò il tovagliolo e si tamponò le labbra. Lo rimise giù e disse: “Quello che conta adesso è quello che dici tu. Quindi parla. Credo che tu ce lo debba”.

Le mie sorelle erano immobili, mi fissavano, aspettavano.

La mia testa improvvisamente si scaldò. Il mio cuore batteva forte. Il mio petto si sentiva vuoto. Il mio stomaco si riempì di paura.

Blair mi aveva detto che non avrebbe detto nulla. Perché l’aveva detto? Come aveva fatto la mamma a farglielo ammettere? È stato il senso di colpa?

La mamma lo sapeva davvero?

Scrutai il suo viso. Era una maschera di sicurezza. Avrebbe avuto quell’aspetto se avesse saputo la verità? Non lo sapevo.

Non c’era più tempo per pensare. Ogni secondo trascorso giocava a mio sfavore.

“Mi dispiace, mamma. Non volevo farlo. È successo e basta. Dopo mi sono odiato per questo”.

Guardai Lia ed Emma, che sembravano allarmate e confuse. Guardai la mamma. La sicurezza era sparita. Non riuscivo a capirla. Era uno shock? Paura?

Lo aveva mai saputo davvero? Era stata una trappola?

“Dimmi”, disse, e la sua voce tremò.

Scrutai il tavolo alla ricerca di un alleato o di uno sguardo di compassione. Nessuno.

“Io… ho fatto sesso con lei, ma…”.

La mamma si alzò di scatto dalla sedia. Facendo un passo verso di me, la sua mano mi passò sul viso una, due, tre volte in successione a mitraglia. Fece un passo indietro e il suo viso divenne così rosso da essere quasi viola. Visibilmente tremante, mi fissò e scosse la testa. Poi urlò al soffitto, un urlo agonizzante e luttuoso. Si girò e lasciò la stanza in silenzio. Sentii i suoi passi sulle scale. Sentii la porta della sua camera sbattere.

Nel momento in cui mi voltai verso Emma, la sua zuppa calda mi schizzò in faccia. Se ne andò, seguendo la mamma.

Lia rimase. I suoi occhi erano rossi e vitrei. “Mamma aveva ragione fin dall’inizio. Ci hai ingannato. Hai mentito”. Si asciugò velocemente gli occhi, tirò su dal naso e disse con fermezza: “Mi hai mentito”. Pronunciare quelle parole le sembrò quasi rendere reale l’intera faccenda. Scoppiò in singhiozzi e, coprendosi il viso, seguì mamma ed Emma.

Mi sedetti da solo a tavola, ricoperto di zuppa di pollo e broccoli.

Suppongo che quella sera Lia non avrebbe comprato nessun preservativo.

***

Ripulii la cucina, pensando.

Non sembrava che la mamma lo sapesse davvero. Blair, pensai, doveva averle detto qualcos’altro.

Oppure era una trappola?

Mamma sapeva che quella mattina era successo qualcosa di strano. Solo che non sapeva cosa. Quindi, aveva fatto finta di saperlo per farmi parlare?

Questa sembrava la risposta più probabile.

Accidenti.

Mi meritavo la loro rabbia. Me la meritavo davvero.

Ma, pensai anche, in realtà non lo meritavo. Non ho mai avuto la possibilità di spiegare tutto prima che la mamma mi esplodesse addosso.

Per me, l’unico inganno che avevo fatto era stato quello di spegnere il wifi quella mattina, prima che la mamma mi aiutasse. Le altre cose? Le domande che avevo fatto? Le volte che avevo detto di voler imparare quando in realtà quello che volevo, più ancora dell’imparare, era il sesso?

Non erano bugie. Volevo davvero imparare. Volevo delle risposte. Ma volevo anche il sesso.

Era un inganno? Era mentire?

E, Blair. Dannazione. Dovevo spiegare alle ragazze cosa era successo. Forse avrebbero capito se avessero saputo come era andata quella mattina.

O forse non gliene importava più nulla.

***

Nei due giorni successivi riempii i contenitori nella mia stanza, da solo. Non ero in vena. Non volevo, ma non volevo nemmeno turbare nessuno, soprattutto la mamma, più di quanto non avessi già fatto.

Nessuno mi parlò per quei due giorni; ebbi molto tempo per pensare. Quando non pensavo, passavo la maggior parte del tempo fuori con gli amici, cercando di dimenticare.

Ma, alla fine di quel secondo giorno, la mia vergogna stava maturando in risentimento.

Avevo bisogno di informazioni. Avevo bisogno dei retroscena e non mi importava più quanto la mamma fosse arrabbiata. Non importava che stesse dormendo profondamente e che fosse passata l’una di notte. Entrai nella sua stanza e chiusi la porta dietro di me.

La scossi per svegliarla, ma con delicatezza.

“Cosa c’è, tesoro?”, mormorò svegliandosi e vedendomi. La sua voce era priva di un tono duro. In essa percepivo che non ero stato perdonato, ma che, forse, era troppo stanca per litigare con me in quel momento.

“Scusa se ti ho svegliato. Non è un’emergenza. Non riesco a dormire perché ho bisogno di sapere cosa è successo con papà, con mio padre”.

Le mie parole la svegliarono e si alzò a sedere nel letto. Quando istintivamente guardai i suoi seni, che spuntavano dalla camicia da notte di seta bianca, lei tirò su il piumone e li coprì.

“Perché me lo chiedi?”.

“Tutto quello che è successo. C’è un legame e lo so. Ho bisogno di sapere qual è”.

Non parlò.

“Mamma, ti prego”.

Si schiarì la gola, si aggiustò il cuscino e si sdraiò su un fianco, dandomi le spalle.

Immaginai che la conversazione fosse finita e feci per andarmene.

“Ha avuto una relazione quando ero incinta di Lia”, cominciò la mamma. “Me lo confessò dopo la nascita della bambina. Mi promise che non sarebbe mai più successo. Lo perdonai e gli dissi che non volevo sapere chi fosse quella donna. Poi le cose tra noi sono andate bene”.

Ascoltai, sentendo la rabbia salire dentro di me.

Continuò. “Poi arrivaste tu ed Emma, quasi uno dietro l’altro. Furono anni difficili per noi. Credo che lui fosse sopraffatto: all’epoca non aveva la sicurezza del lavoro, aveva un bambino e una moglie incinta. Poi, un anno dopo, ha avuto un neonato, un bambino e una moglie incinta. Sapevo che lo stavo perdendo, ma mi rifiutavo di ammetterlo”.

Sospirò.

“Ma una volta che sei nato e quando abbiamo scoperto il tuo HFI, lui era un uomo nuovo, tuo padre. Si è dedicato a noi e soprattutto a te. Mi sono detta che mi ero sbagliata, ho dimenticato i miei dubbi”.

La mamma rimase in silenzio per alcuni lunghi istanti.

“Blair venne a trovarmi quando avevi circa quattro anni. All’epoca viveva qui, in città. Stava finendo la scuola di medicina. Piangeva e mi disse che per anni aveva avuto una relazione saltuaria con tuo padre, soprattutto durante le mie gravidanze. Tuo padre sapeva che Blair me lo avrebbe detto e non tornò più. Non l’ho più visto né sentito”.

Cominciò a piangere.

“Non riusciva a sopportare di avermi deluso due volte, credo”. La mamma tirò su e si pulì il naso. “L’avrei perdonato. Forse non l’avrei più amato come quando ci siamo sposati, ma gli avrei permesso di continuare a essere un padre per voi tre. Avrei cercato di essere sua moglie”.

Sospirò di nuovo e poi si girò di fronte a me. Si asciugò gli occhi e si schiarì la gola.

“Ho perdonato Blair. Ero sconvolta, ovviamente, ma ho capito. Blair ha sempre avuto il cuore tenero per gli uomini disperati. Non ne aveva mai abbastanza. Tuo padre era affascinante e bello, ci faceva ridere. Non mi sono resa disponibile per lui, sessualmente, durante e dopo le mie gravidanze. Alcune donne non ne hanno mai abbastanza quando sono incinte. Io non ero così. E Blair, beh, amava il sesso e gli uomini”. La mamma fece una pausa, fissando davanti a me il grande specchio della sua area di servizio. “Credo che con l’avanzare dell’età sia diventato meno amore per loro e più amore per essere amata. Credo che abbia perso la sua dolcezza”.

Annuii.

Lei mi guardò. “È sufficiente?”.

Annuii.

“Mi dispiace di non avertelo detto fino ad ora. Deve essere stato difficile. Dovrei spiegarlo alle tue sorelle”.

“Mamma, possiamo fare una cena in famiglia domani?”.

Mi fissò, confusa.

“Preparerò qualcosa per noi. Devo dire qualcosa a tutti voi”.

Annuì, dicendo: “Vai a dormire”. Poi si girò, dandomi le spalle mentre me ne andavo.

***

Per il terzo giorno consecutivo, fornii il mio campione di sperma senza alcuna assistenza e sapevo che le ultime tre coppe sarebbero state riempite allo stesso modo.

Non mi importava più.

Volevo solo che la mia famiglia non mi odiasse. Così, organizzai questa cena con l’intento di fare ammenda e di darmi l’opportunità di spiegare quello che era successo tra me e zia Blair.

Chiamai un mio compagno di università che amava cucinare e gli chiesi di mandarmi la ricetta delle costolette di sua madre, di cui si vantava incessantemente ai tempi della scuola.

Un mio amico mi portò al supermercato e io presi tutto ciò che mi sarebbe servito.

Alle quattro del pomeriggio misi in forno due mezzi vassoi di costolette avvolti nella carta stagnola. Alle cinque la cucina aveva già un buon profumo. Alle 18.30, quando le ho tirate fuori, sapevo che erano perfette.

Ho servito le costolette, i fagiolini alla pancetta e il pane di mais.

“Grazie per essere qui. Volevo scusarmi per quello che ho fatto. Volevo spiegare cosa è successo la mattina di Natale. Quando tutti avranno finito di mangiare, inizierò”.

Mangiarono e so che gli piacque molto. Tutte le costolette erano sparite. Nessuno ha detto niente di carino, però.

Dopo aver sparecchiato, mi sedetti e cominciai.

Iniziai con l’esame di Blair. Spiegai quanto fossi arrabbiato per aver dovuto lasciare che mia zia esaminasse il mio pene e i miei testicoli. Raccontai quello che aveva fatto; citai tutte le domande che mi aveva fatto, compresa quella sulla mia verginità. Poi ho raccontato che aveva detto di dover esaminare il mio pene mentre era eretto.

“Le ho detto di no”, dissi. “E lei mi ha riso in faccia. Era in piedi accanto a me e ha iniziato a toccarmi i testicoli. Le ho chiesto cosa stesse facendo e lei mi ha risposto che mi stava facendo venire un’erezione”.

La mamma mi fissò, impietrita. “Le hai detto di no e lei l’ha fatto lo stesso?”.

Annuii. “Ma non ho lottato con lei, mamma. Avrei dovuto”.

Raccontai a tutti di come la sua voce si fosse addolcita e di come volesse sapere cosa provavo per i diversi atti sessuali. Raccontai che Blair sembrava sorpresa che fossi vergine.

“Aspetta. Ti ha chiesto due volte di essere vergine?”. Lia mi interruppe.

Annuii.

Ammisi che i suoi tocchi mi avevano fatto eccitare e diventare molto duro. Accennai al fatto che Blair si era sbottonata la camicetta per mostrare una maggiore scollatura. Descrissi le varie cose che Blair faceva per esaminare il mio pene: lo stetoscopio e il bracciale per la pressione sanguigna.

La mamma alzò la mano per fermarmi. “Blair ha misurato la pressione del tuo pene?”.

Annuii.

“L’ha gonfiato?”.

Annuii.

Mamma scosse la testa con apparente stupore.

Continuai, confessando che avevo detto a Blair di succhiarlo e che lei aveva cominciato a baciarlo.

Mi fissarono, ascoltando.

Raccontai alle ragazze che Blair aveva detto di non succhiare mai una vergine e che mi aveva praticamente ordinato di leccarle la vagina. Infine, raccontai del sesso. Spiegai come, poco prima di penetrarla, mi ero fermato, sapendo quanto avrebbe turbato mia madre e le mie sorelle.

Dissi: “Non so se mi sarei fermato del tutto. Non lo so, ma non importava perché la cosa successiva che fece fu avvolgermi le gambe e tirarmi dentro di lei. A quel punto, non avrei potuto fermarmi”.

Ho concluso raccontando come mi ha finito con la mano nel contenitore e se n’è andata.

Non ho menzionato ciò che ha detto su di me e mio padre.

“Sappiate che questo non cambia quello che è successo. Sappiate che vi ho comunque deluso. E so che dire che mi dispiace non è abbastanza. Ma non potevo lasciarvi senza spiegarvi come è andata”.

Guardai ognuno di loro a turno e cominciai a pensare che, forse, avevo fatto qualche progresso. Non mi guardavano più come se fossi una macchia del water.

Tuttavia, nessuno di loro parlò.

Continuai. “Ho la visita di controllo tra quattro giorni e resterò nei paraggi per finire quello che devo fare, ma volevo che sapeste che, una volta finito, tornerò a scuola. I dormitori riaprono quel giorno e posso chiedere un passaggio a un amico che passa per la città nel pomeriggio”.

Gli occhi della mamma si allargarono. Quelli di Lia divennero vitrei. La testa di Emma si abbassò sul petto.

“Penso di poter trovare un posto laggiù per l’estate e di trovare un lavoro. Conosco dei ragazzi che hanno un appartamento e mi lasceranno dormire”.

La mamma si allontanò dal tavolo e sussurrò: “Ci lasci?”.

Annuii. “Ho perso la vostra fiducia. E non so”, dissi, “se posso fidarmi ancora di voi tre. Siete tutti troppo gentili, troppo straordinari, troppo belli. Non posso stare qui. Non dovrei”.

La mamma iniziò a piangere. Lia ed Emma si guardarono l’un l’altra.

Ho detto quello che dovevo, quindi mi sono alzato e sono andato a lavare i piatti.

La mamma stava per scappare dal tavolo e sentii i suoi singhiozzi mentre saliva al piano di sopra.

Lia si avvicinò e mi abbracciò. Emma si sedette a tavola, apparentemente abbattuta. Continuai a lavare, mormorando: “Mi mancherete e mi dispiace”.

Lia si avvicinò a Emma e le mise una mano sulla spalla. La sentii chiedere a Emma di andare a controllare la mamma. Se ne andarono.

Quando tutto fu pulito, presi la mia grande coperta e mi sdraiai sul divano. Nessuno scese al piano di sotto per molto tempo.

Erano passate le 20.30 quando Lia entrò finalmente nel salotto di famiglia.

Sospirò e disse: “Mamma è a pezzi. Emma resterà lassù con lei finché non si addormenterà”.

Annuii.

“È come prima, come quando papà ci ha lasciato. È di nuovo così”.

Annuii.

Sentii i suoi occhi che mi studiavano. Infine, disse: “Non mi piace che tu sia andato a letto con zia Blair”.

Annuii.

“Ma”, continuò, “credo a quello che hai detto. Ti ha attirato. Ti ha ingannato”.

“Grazie per avermi creduto”, mormorai.

“Mi dispiace di essermi arrabbiata così tanto. Sei ancora il nostro bambino di peluche e ti voglio bene”.

“Grazie, Lia. Ti voglio bene anch’io”.

Si avvicinò e mi baciò sulla testa. Mi girai verso di lei e lei mi baciò le labbra. “Vado a controllare la mamma, di nuovo”.

Un minuto dopo, Emma scese. Si sedette sul pavimento accanto al divano, con il viso rivolto verso la televisione, e disse: “Grazie per averci raccontato cosa è successo davvero”.

Annuii.

“Odio quella stronza di Blair”.

“Anch’io”, dissi.

“Non posso credere che ti abbia sedotto”.

Annuii.

“E il modo in cui l’ha fatto! È stato come se ti avesse predato o qualcosa del genere”.

“È quello che ho provato anch’io, dopo”.

Si girò verso di me. “Mi perdoni se ho dubitato di te?”.

Annuii. “Mi perdoni per aver lasciato che accadesse?”.

Lei sorrise e annuì.

Le dissi: “Ti voglio bene, Emma”.

Si voltò verso di me.

“Cosa c’è che non va?” Le chiesi.

Voltandosi verso di me disse: “Dovrei dirti…”. Si è interrotta.

“Cosa?”

“Niente. Non è niente”. Lei fece scorrere le mani lungo la mia coperta e disse: “Sai quanto sei carino, avvolto nella tua coperta?”.

Io scrollai le spalle.

“Molto, molto carino”, disse, “Ora baciami e facciamo la pace”.

Ci baciammo. Lei lo tenne per un altro momento prima di staccarsi.

Sorridendo, se ne andò.

Sentii scorrere le docce e poi il silenzio. Tutti dovevano aver deciso di andare a letto. Era stata una giornata lunga.

Guardai la tv per un’altra ora e poi salii anch’io.

***

Devo essermi addormentato quasi subito, ma mi sono svegliato dopo mezzanotte. Mentre andavo in bagno, sentii qualcosa e mi fermai.

Era la mamma che piangeva.

Dopo aver finito e lavato le mani, pensai di andare a trovarla, per cercare di darle un po’ di pace.

No. Mi odiava. Le avevo spezzato il cuore.

Tornai in camera mia e mi sdraiai. Tutto era silenzioso lì dentro, ma anche se sapevo che era impossibile, mi sembrava di sentire ancora la mamma piangere, da sola, nella sua stanza.

Lia aveva detto che era come quando papà ci aveva lasciato. Avevo paura, pensai.

Immediatamente capii il problema.

Discussi di aspettare fino al mattino, ma non per molto. Era troppo importante

Mi alzai e andai nella camera da letto principale.

La mamma giaceva sul fianco sinistro, lontano da me. Il braccio sinistro era rannicchiato sotto il cuscino sotto la testa. Il braccio destro stringeva al petto la spessa trapunta. I suoi grassi riccioli rossi le ricadevano sul viso.

Chiusi la porta dietro di me.

Si girò, asciugandosi gli occhi e disse: “Ti ho svegliato?”, guardando l’orologio sul comodino.

Scossi la testa, inginocchiandomi accanto al letto. “No, volevo dirti una cosa e non poteva aspettare”.

Cercò i miei occhi e aspettò.

Dissi: “Non mi perderai mai”.

La mamma sbatté le palpebre.

“A prescindere da tutto”, continuai, “sarò sempre tuo figlio. Ti amerò sempre con tutto il mio cuore”.

La mamma tirò un respiro affannoso, trattenendo un piccolo grido in gola. I suoi occhi divennero vitrei.

“Le volte che siamo stati insieme, non mi sono mai sentito più vicino a te o più amato da te. Ho fatto cose, cose complicate, per farti desiderare di restare e aiutarmi, ma è sempre stato perché amavo stare con te ed essere amata da te. Mi dispiace”.

Annuì, con gli occhi e le labbra che si stringevano per la tristezza.

Continuai. “Ma ho sbagliato. So che… che non insegnarmi più il sesso e non aiutarmi… so che non significa che non mi ami”.

Si asciugò gli occhi, singhiozzando.

La abbracciai e le sussurrai all’orecchio. “Sono il tuo ragazzo. Tu sei la mia mamma. Niente può cambiare questo. Ti prometto che non mi perderai mai e che ti amerò per sempre”.

La mamma emise un breve e acuto grido. Sembrava involontario. Era uno scoppio acuto e lamentoso. In seguito, mi strinse tra le braccia e pianse sulla mia spalla. Singhiozzava, dicendomi che mi voleva bene, e gridava: “Oh, il mio bambino, il mio dolce, dolce, bambino”.

Non era comodo abbracciare una persona che giaceva nel letto su un fianco, mentre io ero in ginocchio accanto al materasso. La mamma ruppe l’abbraccio per asciugarsi gli occhi.

Mentre era sdraiata su un fianco e piangeva, mi misi accanto a lei per abbracciarla.

Quando mi sistemai dietro di lei, le avvolsi il braccio intorno alla pancia. Lei avvolse il mio braccio nel suo e io le baciai la nuca.

La mamma disse: “Ecco”. Fece scivolare il piumino da sotto di me e lo gettò su entrambi.

Ero contento di quello che avevo fatto, soddisfatto delle mie parole e delle mie azioni. Avevo fatto la cosa giusta.

Mi sentivo bene.

Poi sentii qualcos’altro.

Ero in boxer e sentii la pelle calda e liscia del retro delle sue cosce sul davanti delle mie. Deve avere le mutandine, pensai.

Mi strinsi gli occhi: “No, non pensarci”.

Pensai invece a mio padre e a come ci avesse abbandonato per il senso di colpa. Pensai a come mamma doveva aver deciso, nella sua mente, che stavo per fare la stessa cosa a lei. Non c’è da stupirsi che abbia dato di matto.

Ben presto non pianse più.

Ma la mia lotta non era affatto finita. Fece una piccola modifica alla sua posizione e il risultato fu che il suo sedere si annidò nel mio inguine.

Era ora di andare. Mi liberai del suo braccio e cominciai a sedermi. “Ti lascio dormire”, sussurrai.

“Tienimi ancora un po’”, mi supplicò.

Mi sdraiai di nuovo sul fianco; mamma si risistemò. Di nuovo sentii la morbida carne del suo sedere, attraverso le mutandine e i boxer, sul mio pene.

Questo era un problema. Mi sforzai di non pensare alla nostra posizione.

Non aveva importanza. Il mio pene cominciò a gonfiarsi contro di lei, così ritrassi i fianchi, interrompendo il contatto.

Mamma sospirò, si portò dietro la testa, raccolse l’intero mucchio di capelli e se lo portò davanti. Fissai nell’oscurità la curvatura liscia della sua nuca e il modo in cui degradava verso la spalla. La mamma lasciò il mio braccio e lo strinse di nuovo, tirandolo leggermente più in alto sul suo petto. Sentii la parte inferiore di uno dei suoi seni sul mio avambraccio.

La mia erezione salì a metà strada e, con mio grande allarme, crebbe attraverso il buco sul davanti dei boxer. Ero esposto.

Mamma respirò dolcemente.

Le guardai il collo, nudo e liscio. I suoi capelli profumavano di bacche estive. Sentii la leggera pressione del suo seno sul mio braccio. Lasciai che la mia mente immaginasse il bellissimo sedere della mamma. Ricordai le sue curve ampie, la sua massa e la bellezza della pelle color crema che lo ricopriva, splendente. Ricordai di averlo toccato la prima volta, di aver appoggiato le mie mani sul suo sedere. L’impulso di posare le mie labbra su di esso era stato irresistibile. Poi, dopo averlo baciato, non potei fare a meno di pensare a come avrei voluto vedere di più, a come avevo stretto la sua carne tra le dita, all’inizio per sentirne la morbidezza, ma poi l’avevo fatto di nuovo per vedere dentro. Ho intravisto il suo punto rosa stretto e, per qualche motivo, l’ho desiderato.

Mi soffermai su queste immagini, sentendo la mia erezione completarsi. Mi usciva fuori, attraverso il buco dei pantaloncini, e si librava e palpitava. Era bello essere così duro e pronto. Sapevo che puntava proprio a quelle due sfere bianco-crema racchiuse nelle sue mutandine di seta.

Ascoltai. Il suo respiro era caduto in un ritmo tranquillo.

Dovevo vederlo. Non volevo rovinare quello che avevo appena ricostruito, ma dovevo farlo.

Allontanai il braccio dalla sua pancia.

Lei riprese fiato per un attimo, poi riprese il suo ritmo naturale.

Sollevai il piumino da me stesso e lo stesi dall’altra parte delle sue gambe, esponendo la sua metà inferiore. Poi cominciai a scendere lungo il letto, avvicinandomi a quella parte di lei che non potevo fare a meno di rivedere, forse per l’ultima volta.

Quando la vidi, mi scappò un gemito in gola. Le sue mutandine non erano perizomi, ma erano scarsamente aderenti e si dividevano in un’alta forma a V verso i suoi fianchi. Esponevano e incorniciavano alla perfezione ogni metà bulbosa.

Aspettai, ascoltando.

Lei continuò a dormire come prima.

Le misi una mano sul fianco, sentendo il calore del suo corpo, la consistenza setosa della sua pelle. Feci scivolare la mano sul suo sedere, leggero come una piuma.

La mia erezione si contrasse. La sentii uscire ancora di più dal mio corpo, crescere e stringere ancora di più la pelle intorno a sé. Sentii il suo richiamo alla connessione.

Tenendole il fianco, mi avvicinai e annusai il suo corpo. L’aroma di fragole, di cocco e, sotto di esso, quella ricca fragranza femminile. Soffocai l’ennesimo sussulto. La mia mente era in fiamme.

Il mostro selvaggio, il desiderio, era su di me. Strinsi le palpebre, combattendo.

Solo un altro sguardo.

Presa la decisione, diedi di nuovo libero sfogo ai miei sensi. La prima cosa che notai fu il dolore alla mano.

La stavo mordendo, ferocemente. La liberai, vedendo i segni dei miei denti. Guardai il sedere della mamma.

Solo un bacio, per sentire la sua consistenza sulle mie labbra.

Mi avvicinai alla sua carne, allungai le labbra e le premetti contro di lei.

Liscio. Calda. Cedevole.

La baciai di nuovo e sentii la stessa perfezione.

La baciai, leccai teneramente, per sentire il suo sapore.

La freschezza. Il sentore di cocco. Ma soprattutto: donna. Il sapore di donna.

Aprii la bocca e succhiai la carne del suo sedere il più dolcemente possibile. Quando mi staccai, mi spostai in basso e dentro di lei. Poi, fissai di nuovo le mie labbra su di lei, accarezzando e assaporando. Mi staccai da lei e mi avvicinai.

Quando le mie labbra la strinsero di nuovo, il mio mento era sul retro della sua coscia, il mio naso premeva sulle sue mutandine e le mie labbra erano tra le sue natiche, nello spazio in cui le sue mutandine si restringevano a una striscia sottile che copriva a malapena il suo buchino. La baciai e la leccai, senza mai toccare le mutandine, ma vicino, molto vicino.

Così vicino, infatti, che sentii sulla mia lingua come la sua pelle cominciava a stringersi, a rassodarsi man mano che si avvicinava al suo ano.

Mi godetti questo posto per circa un minuto, poi mi ritirai, soddisfatto che non ci fosse nulla di nuovo da esplorare senza toglierle effettivamente le mutandine.

Ma volevo di più.

Le gambe della mamma erano unite, come due gemelle, una sopra l’altra, mentre dormiva.

Con la massima delicatezza possibile, spinsi la parte posteriore del ginocchio della gamba superiore della mamma. Si spostò in avanti. Una volta aperto uno spazio tra le due gambe, tirai indietro l’altra gamba, verso di me.

Poi, accadde.

La mamma si aggiustò. Portò la gamba superiore verso il petto, quasi ad angolo retto con il busto. Gettò leggermente indietro l’altra gamba e il suo busto rotolò. Era quasi, ma non del tutto, a pancia in giù. E si era allargata.

Solo una volta, annusai la sua vagina. Ecco.

Scivolai giù dal letto e tornai su, tra le gambe della mamma. Mi avvicinai alle sue mutandine.

Nella sua posizione, il sedere di mamma si inarcava dalle cosce in modo spettacolare. Mi faceva male vedere le sue curve. Sembrava quasi che stesse spingendo la pancia verso il basso per sollevare il sedere e presentarlo al suo amante.

Mi avvicinai, il mio naso sfiorò il tessuto delle sue mutandine. Inspirai il suo profumo.

Oh.

Cercai di non imprecare.

“Oh, dannazione”. Le parole mi balzarono in testa e mi uscirono dalle labbra in un gemito sussurrato.

Era il suo profumo. Il profumo femminile, ma unico del suo corpo. Come quello di Lia e di Emma, ma non esattamente così. Era quello della mamma, la firma del suo corpo, e le si addiceva perfettamente. Era un aroma, pensai, progettato per richiamare un amante, per attirarlo più vicino.

Mi avvicinai a lei con la lingua, facendone scorrere la punta lungo le mutandine.

Poi mi bloccai.

Un suono?

La totalità dei miei sensi si era concentrata su quell’unico punto tra le gambe della mamma. Non potevo esserne certo.

Aspettai, ascoltando.

Non sentii nulla, ma quel momento interruppe la mia intensa concentrazione; mi diede la possibilità di fare il punto su dove mi trovavo e su ciò che stavo facendo.

Allontanai la testa dal suo sedere.

È una follia, mi dissi. Approfittare della mamma mentre dormiva in questo modo era una violazione della stessa fiducia che avevo appena lavorato duramente per ripristinare. Fermati. Ora.

Ma.

Ma c’erano stati dei segnali, no? Mi aveva chiesto di restare. Il modo in cui aveva riposizionato il suo corpo – non una, ma due volte – per spingere i nostri corpi insieme o per permettermi di accedere al suo. Sembrava quasi che lo volesse.

Quei segnali potevano essere interpretati male. O involontari.

Solo un assaggio. Lecca ancora un po’, solo fino a sentire il suo sapore per l’ultima volta.

Mi avvicinai e cominciai a lambire lentamente il cavallo delle sue mutandine. Ogni terzo o quarto tocco, premevo un po’ più forte per sentire sulla mia lingua la forma del suo posto speciale.

La ascoltai mentre bagnavo il tessuto con la saliva. Forse il suo respiro era un po’ più profondo.

Spinsi le labbra contro le sue mutandine e succhiai, cercandolo, assaggiandolo. Non ancora. Tornai a lavorare con la lingua.

Poi la sentii. Era un gemito sommesso. Aspettai e pochi secondi dopo era tornata normale.

Premetti più forte contro di lei. Sentii le sue labbra e la fessura tra di esse.

Lei canticchiò. Era un suono soddisfatto e incoraggiante.

Succhiai le sue mutandine e lì… lì era.

Gemevo, lasciando che la fragranza mi riempisse la testa e che il sapore mi attraversasse, riscaldando ogni parte di me.

Poi, lei parlò.

“Fottimi, Jake”.

Mi sono mosso, flettendomi e sussultando in un’improvvisa contrazione di tutto il corpo.

Due cose di quelle parole mi sconvolsero. Primo, mai in vita mia avevo sentito mia madre imprecare in quel modo. La parola “F”? Mai neanche lontanamente. Secondo, mi aveva chiamato Jake.

Non mi chiamavo Jake. Quello era il nome di mio padre.

“Ti prego, Jake. Scopami”.

Il corpo della mamma si mosse. Completò il suo rotolamento, stendendosi a pancia in giù. Spalancò le gambe e poi sollevò il sedere dal letto.

Mi alzai in ginocchio, guardando ciò che mi offriva.

Feci scivolare i boxer sulla mia erezione e scesi fino alle ginocchia. Infilai la mano sotto le sue mutandine, arricciai le dita a pugno e le scostai. Con l’altra mano tenni la curva tra il suo fianco e la sua coscia.

Mi avvicinai a lei finché il bulbo anteriore del mio pene non toccò le sue labbra umide.

“Sì, Jake”.

Lasciai la sua gamba. Poi afferrai la mia erezione e la trascinai su e giù lungo la sua fessura finché non si aprì per me. Le sue mutandine nel mio pugno, la tirai su di me.

Quando la sensazione della nostra connessione bagnata invase il mio corpo, guardai il soffitto ed espirai, grugnendo e gemendo.

Era estremamente bagnata e ciò consentiva un ingresso fluido e incontrollato. Gemeva per tutto il tempo, smettendo di ansimare solo quando il suo sedere e il mio stomaco si unirono.

“Oh, Jake”, ansimò tra i rapidi respiri, “Oh, mio Jake”.

Rimasi lì, assaporando l’ondata di potenza sessuale che il suo corpo mi dava. Poi la spinsi in avanti con la mia manciata di mutandine e ci riavvicinai.

Lei gridò: “Oh!”.

Poi facemmo l’amore. Spingevo, ma non in modo avventato. Piuttosto, in modo completo. Lei mi lasciò controllare il ritmo con la mia presa sulle sue mutandine.

Mi chiamava Jake e non faceva rumore. Era dolce e senza fiato, e in men che non si dica, sembrava che stesse raggiungendo l’orgasmo.

“Dammi un altro bambino, Jake”, sbuffò. “Ti prego, mettimi incinta”.

Stavo raggiungendo il mio stesso apice.

“Ti prego”, ansimò. “Fai un figlio in me”.

Gridò contro il materasso, sentendo la potenza delle mie spinte raggiungere un crescendo. Mi lasciò trascinare il suo sedere sulla mia erezione con le sue mutandine. I nostri corpi si unirono e poi la strinsi a me, completamente seduta. Ci strinsi con forza selvaggia, seppellendo il mio pene ancora più in profondità.

Lei gridò: “Oh, Jake!”.

Poi, lo sperma uscì da me in ondate palpitanti.

Grugnii. Lei gridò.

Non riuscivo a muovermi, la sensazione era così paralizzante e squisita.

Mentre si attenuava, sentii ansimare. Rilasciai la presa sulle sue mutandine e vidi il suo sedere inarcarsi, scivolare via dal mio pene e scendere lentamente sul letto.

“Questa volta sarà un maschio, Jake. Me lo sento”, sussurrò, “e le ragazze lo adoreranno”.

Si sdraiò, riprendendo fiato, e io uscii da tra le sue gambe. Quando le feci scivolare addosso il piumino, si raggomitolò e sospirò.

Un minuto dopo, ascoltai il suo respiro che prendeva il ritmo del sonno.

Mi tirai su i boxer e me ne andai, baciandole la guancia prima di uscire.

***

Quando mi svegliai, il mio primo pensiero fu che mi sentivo davvero, davvero bene. Poi mi ricordai.

Troppo stanco per pensarci la sera prima, ci pensai su, nervosamente, a letto per un po’.

Ieri sera ero stato “Jake” – mio padre – mentre facevo l’amore con la mamma. L’aveva sognato? Faceva parte di un evento incredibilmente reale di sesso nel sonno?

Supponevo che fosse possibile, ma non ne ero sicuro.

Inoltre, quando si sarebbe svegliata, avrebbe certamente ricordato il sogno e avrebbe anche visto e sentito la realtà sul letto, nello stato delle sue mutandine, nella sua vagina. E allora, come si sarebbe sentita?

E se non avesse sognato? Che cosa avrebbe significato? Si era forse convinta a lasciarsi montare da me fingendo di rivivere il momento del concepimento di suo figlio, io, diciannove anni fa?

Potrebbe andare tutto bene, pensai, ma potrebbe anche andare molto, molto male.

L’orologio segnava le 9:34. Alzandomi, vidi qualcosa sulla mia scrivania: un biglietto.

Con la scrittura della mamma.

“Tesoro, grazie mille per avermi fatto sentire meglio ieri sera. Ha significato molto per me sentire queste parole da te. Leggile da parte mia, ora: Ti voglio bene e non mi perderai mai. -Mamma”.

C’era un post scriptum: “Prendete un buon campione stamattina! Ne mancano tre!”.

Questa era una buona notizia. Ho fatto una doccia.

***

Sembrava che non ci fosse nessuno in casa. La mamma doveva essere andata a lavorare. Non avevo idea di Lia ed Emma. Forse stavano ancora dormendo.

Feci colazione da solo, avvolto nella mia coperta, e poi andai di sopra per riempire il mio prossimo barattolino.

Bussai e aprii la porta della stanza di Emma. Non c’era più. Camminai lungo il corridoio fino a quella di Lia. Quando bussai, lei disse: “Entra”.

Entrai.

“Ciao, Lia”.

“Ragazzo confuso”.

Era a letto e leggeva. Aveva messo il libro sul comodino. Il suo pigiama era sul pavimento.

“Ti sei già alzata?” Le chiesi.

Annuì. “Ho fatto una commissione veloce”.

“E sei di nuovo a letto?”.

“Più comoda”.

Ho annuito. Poi ho detto: “Volevo solo dirti che credo che la mamma stia bene, ora. Le ho parlato ieri sera”.

“Cosa le hai detto?”.

“È una storia lunga, ma era preoccupata, credo, che io vi lasciassi come ha fatto papà”.

“Ma non stavi per farlo? Andare via, voglio dire”.

“Sì, ma solo se voi mi aveste ancora odiato e non mi aveste voluto con voi”.

“Noi ti vogliamo intorno a noi, ragazzo stordito”, disse lei. “Allora, come fai a sapere che è andata bene?”.

“Mi ha perdonato, mi ha abbracciato. Le ho detto che l’amavo. Ha pianto un po’, ma più che altro lacrime di sollievo e di gioia, capisci?”.

“Sì”, disse lei, annuendo. “Allora, hai intenzione di rimanere fino alla fine delle vacanze?”.

“Sì”.

“E tornerai a casa la prossima estate?”.

“Sì”.

“Bene”, disse lei sorridendo.

“Ehi, Lia?”

Mi guardò.

“Ti voglio bene. Non potrei chiedere una sorella migliore”.

Annuì. “Grazie”.

“Invidio un po’ il ragazzo che sposerai un giorno”.

Sorrise.

Sospirai. “Dovrei andare. Ho un lavoro da fare”.

Prima che mi allontanassi, Lia si alzò a sedere. “Hai intenzione di masturbarti?”.

Scrollai le spalle e annuii.

“Posso venire?” La sua voce era timida. “Forse?”

Sorrisi e le allungai la mano.

Non l’afferrò. “Aspetta”, disse. Poi si alzò, in mutandine e canottiera, e si avvicinò alla scrivania. Prese qualcosa da una piccola busta di plastica, la tenne in una mano e con l’altra prese la mia.

Ci dirigemmo verso la mia camera da letto, tenendoci per mano.

Quando chiusi la porta dietro di noi, mi lasciò andare. Andai alla scrivania e presi il barattolo 17. Mi voltai verso di lei e lei era in piedi, saltellando sulle punte dei piedi, sorridendo.

Le sue mani erano unite, sotto il mento, e tenevano una scatola.

Una scatola di preservativi.

“Vuoi?”, mi chiese.

Le saltai addosso e ci baciammo. Le diedi la mia lingua e lei la succhiò mentre mi toglieva i boxer. Ci separammo mentre le sollevavo la camicia sopra la testa. Quando ci baciammo di nuovo, aprii la bocca e lei leccò al suo interno, accarezzando la mia lingua con la sua.

Strofinai tra le gambe di Lia, attraverso le mutandine. La sua vagina sembrava una fornace. Infilai le dita sotto le mutandine all’altezza dei fianchi e le tirai giù. Lei le fece scivolare via per il resto della loro lunghezza. Poi mi prese i testicoli nel palmo della mano. Li liberò e prese tra le dita la mia crescente erezione, accarezzandola.

Sollevai Lia da terra, continuando a baciarla, e la misi sul mio letto. Lei ruppe il bacio e si mise in ginocchio. Sorridendo, si sporse in avanti e baciò il mio pene. Guardandomi, mormorò: “Adoro che mi diventi duro”.

“Sta diventando ancora più duro”, dissi. Le palpai i seni, misurando la loro massa nelle mie mani e godendo della loro consistenza satinata.

Lia girò le gambe e si sedette sul bordo del letto, a cavallo delle mie gambe. Mi afferrò il sedere e mi avvicinò. Il mio pene si infilò nella sua scollatura e poi si appoggiò verticalmente sul suo petto e sul suo collo, appena sotto il mento.

La guardai sorridere verso di me, mordendosi il labbro inferiore. Stringendo i suoi seni, li unì intorno al mio pene e cominciò a massaggiarlo.

Gemevo, poi mormorai: “È davvero una bella sensazione”.

Lei chinò la testa e io sussultai quando sentii le sue labbra avvolgere la punta della mia erezione.

In pochi secondi, il mio pene completò il suo viaggio verso la massima rigidità.

Lia si allontanò per ammirare il suo lavoro. La punta brillava della sua saliva.

Le dissi: “Me l’hai fatto tu”.

Lei sorrise.

“Lia, posso leccarti?”.

“No, voglio fare sesso, sesso vero”. Andò alla mia scrivania e aprì la scatola dei preservativi. Strappandone uno, disse: “Stenditi”.

Lo feci.

Lei ruppe il sigillo con i denti e tirò fuori l’anello di colore marrone.

Sembrava molto piccolo.

Si avvicinò e mise l’anello sulla punta. Sembrava un piccolo cappello di neve su una grande testa. Lia afferrò la punta e cercò di srotolarla, ma si bloccò di nuovo. Ci riprovò. No.

“Tieni la punta?” Mi chiese.

Lo feci.

Con due dita iniziò a srotolarlo. L’anello scivolò sulla punta.

Non potevo credere a quanto fosse stretto. Tirai un respiro affannoso.

“Stai bene?”

Annuii. “Molto stretto”.

Le sue dita riuscirono a far scendere l’anello di un altro centimetro, poi il preservativo cominciò a risalire da solo. Lia arrestò il movimento e lo tirò giù con forza.

Vidi la testa grassa del mio pene spuntare all’interno del tappo super-aderente.

Lia tirò di nuovo e la punta si spaccò. Disse: “Oh! Oh, no. Stai bene?”.

Annuii, dicendo: “Lascia fare a me”. Tirai indietro l’anello e me lo tolsi, gettandolo sul pavimento.

Lia stava pensando, lo vedevo. “Fammi vedere questa scatola”, sussurrò. La prese e guardò il fronte e il retro. “C’è scritto ‘regular’. Ci sono delle taglie?”, chiese.

“Forse”, risposi. “Credo di sì”.

“Ho preso quelli normali. Non lo sapevo”, disse.

“Provane un altro”, le suggerii.

Prese il successivo, lo aprì e lo guardò con tristezza. “È uguale, peluche”.

“Provaci, Lia. Ti voglio”.

“Aiutami”.

Insieme, srotolammo l’aggeggio. Ancora una volta era estremamente stretto, ma questa volta lasciammo più spazio alla punta, srotolandolo un po’ prima di indossarlo. Mi stavano addosso circa tre centimetri prima che cominciasse a risalire.

Ho detto: “Va bene. Funzionerà”.

“Sei sicuro?”

Annuii. “È stretto, ma siamo a posto. Vuoi che…”

Lei scosse la testa e si arrampicò su di me. “Lascia che sia io a controllarlo”. Era su un lato di me e aveva un piede a terra, con il ginocchio piegato, sull’altro lato. Afferrò la mia erezione e, guardando tra le sue gambe, la portò alla sua vagina. In posizione, abbassò l’altra gamba e la punta scivolò dentro di lei.

“Oh!”

Lia mi mise le mani sul petto. Il suo volto assunse un’espressione di feroce concentrazione e cominciò ad abbassarsi sulla mia erezione.

“Oh, ahi”, gridò. “Ahi. Ahi.” Si strinse gli occhi e mise a nudo i denti.

“Fa male?”

Annuì, facendo una smorfia.

Guardai la sua vagina che lentamente inghiottiva la mia erezione. “Mmm. Lia, è così bello”, mormorai.

Lasciò uscire il respiro che aveva trattenuto e il suo sedere si appoggiò sulle mie gambe. “Così grande dentro di me. Oh, mio Dio, fa male”, sussurrò.

“Tiralo fuori, Lia. Non voglio farti male”.

“No”, sussurrò, “lascia fare a me”.

Si chinò in avanti e i suoi capezzoli sfiorarono il mio petto. Il suo sedere si alzava e si abbassava. Emise un altro enorme respiro. Ripeté il gesto. E ancora.

“Va meglio?” Chiesi.

“Molto”, disse, e mi sorrise.

“Mi fa sentire così bene”.

Annuì e disse: “Ok, facciamo l’amore”.

Mi cavalcò per qualche secondo prima che prendessi i suoi seni tra le mani e cominciassi a impastarli. Lia gridò: “Sì!” e il suo sedere mi schiaffeggiò.

Sentii una piccola contrazione e la consistenza della sua vagina cambiò. La fermai.

“No”, ansimò. “Lasciami fare. È una sensazione fantastica”. Fece per ricominciare a cavalcarmi e io la trattenni.

“Lia, si è rotto. Il preservativo”.

“Eh?”

“Ecco”, dissi, sollevandola da me.

Era lì, la punta si era rotta di nuovo. Lia si sedette accanto a me mentre tiravo via l’anello.

Gemette di disappunto, poi mi supplicò. “Mi perdoni, ragazzo? Non sapevo delle dimensioni. È solo che…”.

“Va tutto bene, Lia”, la tranquillizzai. “Vuoi semplicemente… farlo?”.

Lei guardò la mia erezione e, imbronciata, disse: “No. Non dovremmo. Io voglio farlo, ma non dovremmo”.

Annuii.

Si accasciò sul letto accanto a me.

La avvicinai e la baciai. “Mi è piaciuto molto stare dentro di te, essere – non so – connesso con te in quel modo”.

“Anche a me”. La sua mano cominciò ad accarezzarmi.

“Potremmo”, suggerii, “usare le nostre bocche l’una sull’altra. Che ne pensi?”

Non rispose subito. Si limitò a guardare la sua mano che massaggiava la mia erezione. Poi si fermò e mi guardò. “Mi piace stare insieme a te. Potresti, non so, mettermelo nel sedere, magari?”. Mi guardò, cercando una reazione.

“Non voglio farti male, Lia”.

“Non lo farai”, replicò rapidamente. “Andremo piano. Mi preparerai”.

Ci pensai su.

“Allora, lo farai? Me lo metti nel culo?”.

Annuii e mi alzai a sedere. Presi il lubrificante dalla scrivania e lo portai sul letto.

Lia chiese: “Come mi vuoi?”.

“Stenditi su un fianco”.

La aiutai a mettersi di fronte a me. Mi spostai più in basso sul letto, dietro di lei.

Lei ordinò: “Vai piano, ragazzo, e assicurati che io… oh!”.

Il mio viso era già dentro le sue cosce, la mia lingua sulla sua vagina. Mi piaceva il suo odore e il suo sapore. Muovevo la punta tra le sue labbra e le accarezzavo il clitoride. Quando cominciò a reagire emettendo suoni dolci, spinsi la lingua il più profondamente possibile dentro di lei. La feci ruotare da una parte all’altra e poi la baciai di nuovo verso l’esterno e verso il basso.

Le mie labbra percorrevano la pelle tra la vagina e l’ano e, quando raggiunsi il piccolo punto, infilai due dita nella vagina. Baciai il buco e lo tamponai con la lingua un paio di volte. Mi piaceva il suono che Lia emetteva quando lo facevo. Così, lo leccai con decisione e determinazione, lo feci mio mentre la sditalinavo.

Mi piaceva avere il viso spinto tra le due sfere del suo sedere. Mi piaceva sentire Lia ansimare e gemere mentre leccavo il suo ano rosa.

Le mie dita la portarono all’orgasmo e lei gridò quanto le piaceva.

Quando il suo corpo smise di resistere, mi tirai indietro e tirai fuori le dita da lei. Presi il lubrificante e ne spalmai un po’ sulle dita. Aprendole il sedere con una mano, massaggiai la vaselina sul suo ano e intorno ad esso.

Ne tamponai ancora un po’ e preparai il mio pene.

Il mio dito indice scivolò facilmente dentro di lei e Lia reagì appena. Sospirò in modo rilassante mentre facevo oscillare delicatamente il dito dentro e fuori, dentro e fuori.

“Va bene?” Chiesi.

“È una bella sensazione”.

“Pronta per la seconda?”.

Annuì. “Mm-hmm.”

Avvicinai le dita e le posizionai contro di lei. Con una pressione graduale e crescente, si aprì e lasciò entrare le punte.

Lia fece fatica a far entrare completamente le due dita, ma una volta dentro sembrò adattarsi. Li guidai, lentamente, avanti e indietro, ascoltando i suoi ronzii e i suoi sussulti.

Quando li tirai fuori, lei disse: “Penso di essere pronta per il tuo pene ora”.

Mi sdraiai accanto e dietro di lei, annidando la mia erezione tra la massa delle sue due chiappe. Quando il mio pene fu allineato, lo rilasciai e le strinsi la vita.

Lei girò il viso verso di me e sembrava nervosa.

“Sei sicura?” Le chiesi.

Annuì e io spinsi.

Quando lo sentì, implorò: “Baciami!”.

Mi alzai dal cuscino e girai la testa verso di lei. Lei si girò il più possibile verso di me e ci baciammo.

Quando la punta la penetrò, gemette nella mia bocca, ma non smettemmo di baciarci.

Spinsi ancora di più. La sua mano mi fermò, appoggiandosi sul mio fianco.

Le nostre labbra si sono intrecciate e contorte. Le nostre bocche si aprirono e le nostre lingue si accarezzarono. Le sue labbra afferrarono la mia lingua e lei canticchiò un piccolo “Mm-hmm”.

Allora mi spinsi ancora di più dentro di lei.

Lei ruppe il bacio per dire: “Non smettere di baciarmi”. Le nostre bocche si attaccarono l’una all’altra.

Mi spinsi più a fondo.

Lia morse delicatamente la mia lingua e grugnì. Quando aprì la bocca per ansimare, misi le mie labbra sulle sue, catturando il suo suono nella mia gola.

Le piacque e ricambiò il bacio con rinnovata energia.

Quando feci per entrare ancora di più dentro di lei, si tirò indietro. “Non più. Non ce la faccio più”.

Annuii.

Lei chiese: “È abbastanza per te? Riesci a fare l’amore con me in questo modo?”.

Annuii.

“Ok, baciami di nuovo”.

Lo feci e lentamente tirai fuori il mio pene fino alla punta. Poi, altrettanto lentamente, lo spinsi di nuovo dentro di lei.

Lia ansimò nella mia bocca.

Lo feci di nuovo. E di nuovo, un po’ più velocemente.

Lei mormorò: “Mi piace”. Mi mise una mano sul fianco: voleva dirmi altro.

Feci una pausa.

“Mi piace essere unita a te. Mi piace quanto sia duro per me e quanto tu sia delicato. E mi piace quanto è grande dentro di me, come mi porta al limite”.

Mi ritrassi e spinsi, ma lei mi fermò di nuovo.

Disse: “Puoi farlo dentro di me, eiaculare nel mio sedere”.

“Ma, il campione”, dissi.

“Solo”, mi spiegò, “non farlo troppo profondamente. Tirati indietro. Cercherò di tenerlo dentro di me, il tuo sperma, fino a quando non prenderai il contenitore, ok?”.

“Perché, Lia?”

“Voglio sentire cosa si prova ad avere il tuo orgasmo dentro il mio corpo. Credo che mi piacerà molto”.

“Va bene”, dissi. In quel momento mi venne in mente un pensiero. “Forse non dovremmo stare su un fianco, allora. Lo sperma… la gravità e tutto il resto”.

Lei annuì.

Ritrassi la mia erezione e Lia rotolò sulla pancia e si alzò in ginocchio.

“Non così, Lia”.

“Eh?”

“Non posso baciarti in quel modo”.

“Ma, gravità…”.

“Ecco”, dissi, e la misi sulla schiena. Le feci alzare le gambe. “Dopo ti tengo su io. Così possiamo baciarci”.

“Ti piace baciarmi?”, chiese.

Annuii.

Lei fece alcuni respiri profondi. “Ok, sono pronta. Rimettilo nel mio buco del culo”.

Misi la punta dentro di lei.

“Non farlo”, mi implorò, “fammi male”.

La guardai, sorpreso.

“So che non lo faresti, ma sei così grande e, con me così, non ho alcun controllo”.

Annuii e la baciai profondamente, affondando contemporaneamente la mia erezione delicatamente nel suo ano. Lei gemette.

Era bellissimo. Ci baciammo e facemmo l’amore. Faceva i suoi versi nella mia bocca e io li sentivo nelle mie viscere. Staccò le labbra dalle mie per dirmi che le era piaciuto, per lodarmi per aver fatto l’amore lentamente e delicatamente e per ringraziarmi per aver fatto l’amore con lei.

Le dissi che era bellissima e che non avrei mai voluto smettere.

Disse che le piaceva avere il mio pene nel sedere e che cominciava a sentirsi molto calda dentro, come se potesse avere un orgasmo.

Le dissi: “Anch’io”.

“Stai per… sborrare?”, chiese, e le sue guance si arrossarono all’uso del termine “sborrare”. Non glielo avevo mai sentito dire prima.

Sorrisi. “Mi piace quando dici questa parola”.

“Sborrare?”

Grugnii, annuendo.

“Sborrami dentro”.

Ansimai e la baciai.

Quando mi staccai dalle sue labbra, lei disse: “Sborrami nel… culo”.

“Lia”, gemetti, spingendo dentro di lei più a fondo di prima. “Dillo di nuovo”.

Lei gridò e poi disse: “Ti prego, sborrami nel culo”.

“Lia, fammi entrare. Fammi venire fino in fondo”.

“Fino in fondo”, annuì lei, puntellandosi.

Guidai il mio pene dentro di lei. Sempre più in profondità.

Lia urlò: “Oh! Oh, sborrami nel culo!”.

Le afferrai le labbra con le mie e grugnii dentro di lei. La mia erezione non poteva andare oltre. Quando sentii l’inarrestabile scarica di energia inondare il mio corpo, mi tirai indietro fino alla punta.

Lia sapeva che stavo per eiaculare. Gridò “Sì!” più e più volte.

Sentii la lunghezza dell’asta piegarsi e arricciarsi a ogni contrazione – le pulsazioni erano così forti – ma il sedere di Lia afferrò saldamente la testa, senza lasciarmi scivolare fuori. Il mio sperma le stava riempiendo il sedere in pesanti e palpitanti salve.

Ascoltai le grida di Lia e sentii che il mio corpo le dava tutto.

Svuotato, mi accasciai sul suo seno, gemendo il suo nome. Il mio pene si liberò, ma il sedere di Lia era ancora sollevato. Non ero preoccupato di perdere il campione.

Lia cominciò a ridere. “Oh, mio Dio. È stato fantastico!”.

Ansimai su di lei, riprendendo fiato e ascoltando la sua gioia.

Sentii che mi baciava la sommità del capo e una delle sue mani strofinava delicatamente i miei capelli incolti. Cominciò a chiacchierare, quasi senza sosta, descrivendo l’evento: “Non pensavo che il tuo pene sarebbe entrato fino in fondo, e quando l’ha fatto… oh, mio Dio, mi ha fatto male, ma è stato anche molto bello. E quando hai eiaculato… sei venuto? Oh! Ho sentito il tuo pene, come se si fosse ingrossato e fosse diventato più grande dentro di me, e poi ho sentito il tuo sperma riempirmi completamente. Oh, e il tuo corpo! È diventato così forte quando sei venuto. Era come se il mio corpo ti avesse trasformato… non so… in un superuomo o qualcosa del genere. Oh, mio Dio, era così sexy sentire i tuoi muscoli quando sei venuto! E sono stata davvero vicina ad avere un orgasmo. Non hai idea. Penso che la prossima volta lo farò. E non mi stavi nemmeno toccando la vagina, ma potevo sentirlo dentro di me. Non è pazzesco? Oh, mio Dio”.

Non parlai, godendo solo di stare tra i suoi seni.

“Lo sento ancora dentro di me”, disse. “Forse dovremmo metterlo nel barattolo”.

Mi girai e presi il contenitore. Baciandole il capezzolo, mi sedetti e svitai il coperchio.

“Sei pronto?”, mi chiese. “Vuole uscire. Non credo di poterlo trattenere ancora a lungo”.

Stava stringendo il suo muscolo laggiù e pulsava quasi impercettibilmente. Posizionai il barattolo sotto di lei.

“Non pensare che io sia disgustosa, ok, ragazzo?”.

Scossi la testa. “Pronto”.

Poi l’ano di Lia si rilassò e il mio sperma scivolò dal suo corpo nel barattolo. Arrivò in due flussi impetuosi. Tra uno e l’altro, il buchetto di Lia si pizzicò.

“Dimmi che non è disgustoso”, pronunciò, sembrando piuttosto timida e innocente.

“Bene, Lia”.

“Aspetta, credo che ci sia dell’altro”, disse, e io guardai il suo muscolo che lavorava e qualche goccia fuoriusciva.

“Tutto qui?”.

“Sì. È sufficiente?”.

La guardai e annuii, alzando il contenitore per farglielo vedere.

“Oh. Ok, allora. Sì, è sufficiente”, disse, un po’ sorpresa. “Posso prenderlo?”.

Si alzò a sedere e io gliela porsi.

Lia portò la tazza al viso e la scrutò. Sussurrò: “Questa è l’essenza stessa di te”. Poi, con mia sorpresa, annusò la tazza. Rendendosi conto, suppongo, che annusare il mio sperma poteva sembrare strano, mi guardò timidamente. Disse: “Volevo solo… assicurarmi che non avesse un odore strano per la mamma, capisci?”.

“Pensi che lo sentirà?”.

“Credo che l’abbia già fatto”. Lo annusò di nuovo.

“L’odore è buono?”.

“Normale”.

“Bene”, dissi.

Lia fissò ancora un attimo il liquido nel barattolo.

“Cosa?” Chiesi.

Lei avvitò il coperchio. “Posso fare qualcosa con il tuo pene per un secondo?”.

“Eh?”

“Fammi solo vedere”.

Mi misi in piedi sulle ginocchia e mi avvicinai a lei. Lei tenne l’erezione cascante nel palmo della mano, scrutando la punta. Poi lo massaggiò, dal basso verso l’alto, roteando le dita con un movimento ondulatorio. Una goccia di sperma emerse e scivolò giù. Immediatamente, la lingua di Lia si infilò sotto di essa e poi le sue labbra avvolsero la punta.

Io sussultai.

Lia mi guardò e ingoiò.

Poi cercò di far salire ancora di più il mio liquido con le dita.

Al secondo passaggio, una goccia ancora più piccola apparve all’apertura e non emerse. Lia baciò la punta, succhiando delicatamente, e quando si ritrasse, la goccia era sparita. Apparentemente soddisfatta, mi liberò.

Mi sedetti e la fissai con aria interrogativa.

Lei disse: “So che era solo nel mio sedere, ma non mi interessa. Il tuo corpo l’ha fatto per me. Me l’ha dato”. Scrollò le spalle. “Se è per me, lo voglio tutto”.

Sembrava vulnerabile, come se avesse ammesso qualcosa di potenzialmente vergognoso. La baciai. È durato a lungo.

Credo che la mia risposta sia stata soddisfacente.

Dopo, l’ho fatta sdraiare sul mio letto e le ho steso addosso la mia grande e soffice coperta. Le dissi di non muoversi mentre correvo al piano di sotto per mettere il campione nel congelatore. Quando sono tornato nella mia stanza, mi sono accoccolata vicino a lei. Lei mi massaggiava la testa mentre io mi nutrivo del suo seno. Alla fine ci siamo addormentati entrambi.

***

Mi svegliai prima di lei e feci una doccia. Quel pomeriggio mi feci accompagnare da alcuni amici in palestra e mi allenai. Gli stessi ragazzi volevano vedere uno dei grandi film delle vacanze prima di cercare una bella festa e io mi sono aggregato, mancando la mamma quando è tornata dal lavoro.

Uscii tardi con i miei amici e trovammo una festa in casa. Era la vigilia di Capodanno, dopotutto. Tornai a casa ben dopo le due del mattino.

Lia non era in casa, probabilmente era ancora fuori con i suoi amici, ma Emma rientrò subito dopo di me e io la chiamai silenziosamente dalla cucina.

Lei mi ignorò e salì subito al piano di sopra.

Sapeva che ero in piedi, pensai. Doveva avermi visto e sentito.

La seguii al piano di sopra qualche minuto dopo. Sotto la porta si vedeva chiaramente che le luci erano spente. Bussai piano. Niente. Afferrai la maniglia e la girai.

Era chiusa a chiave.

Era strano. Lascia stare.

Dopo essermi preparato per andare a letto, pensai alla mamma e alla sera precedente. Non avevo avuto modo di parlarle per tutto il giorno e probabilmente non l’avrei vista fino alla sera successiva, sempre che non fossi di nuovo fuori con gli amici.

Se ne stava pentendo?

Sentiva il bisogno di spiegare perché mi aveva chiamato con il nome di mio padre?

Non me ne pentii; il ricordo mi agitava. Spensi la luce notturna e fissai il soffitto, pensando a lei.

Fu il modo in cui era scivolata via dal mio pene – quando tutto era stato fatto – a colpirmi, a indugiare con me nell’oscurità. Era in ginocchio e le sue ginocchia erano spalancate. Io ero tra di loro. La sua schiena si inarcò verso il basso, curvando il suo sedere verso l’alto. Poi, fece scivolare il busto in basso e in avanti. Non ci pensai allora, ma me ne resi conto lì nella mia camera da letto: c’era qualcosa di femminile e felino nel suo movimento. Era aggraziata e agile, ma con una sensualità che bruciava lentamente.

Mentre scivolava in avanti, osservai il mio pene emergere gradualmente da lei. Ancora incredibilmente duro, la mia erezione alla fine si staccò da lei e vacillò per un momento. Lasciò cadere il suo sedere sul materasso, ma con un ritmo prolungato. Era quasi come se lo lasciasse lì perché lo vedessi, una specie di posa. Anche quando aveva smesso di muoversi, apparentemente giù, di nuovo comodamente sul letto, il suo sedere era stato leggermente inclinato verso l’alto e le sue gambe erano rimaste ben aperte.

Solo quando le avevo riappoggiato il piumino addosso si era completamente rilassata.

C’era qualcosa di civettuolo e voluttuoso in quello che aveva fatto.

Era giovane, mi resi conto. Era l’agilità di una donna più giovane in quel gesto.

Era stata la mamma, naturalmente. Non avevo dubbi al riguardo, ma lei sembrava così giovane mentre, pudicamente e languidamente, estraeva la sua vagina dal mio pene.

E la vista! Era stata stupefacente per quei pochi secondi, perfetta da fermare il cuore.

Gemetti, ricordando ciò che avevo visto. Poi rimasi immobile per un momento, pensando.

Poi scivolai fuori dal letto.

***

Fui ricompensato quando mi trovai sulla soglia della sua camera da letto alle 2:30 del mattino.

La mamma dormiva tranquillamente, seminuda. Indossava una maglietta lunga e senza mutandine. Sembrava aver messo da parte il piumino e si era sdraiata sul fianco sinistro, rivolta verso di me. Le sue gambe erano piegate insieme in una specie di posizione fetale.

Impulsivamente, il mio primo pensiero fu di prenderla, di prendere il suo sedere: vederlo, toccarlo, assaggiarlo e leccarlo, ovunque. Mi misi sul letto vicino ad esso, mi incitai, e cominciai. La mamma si sarebbe agitata e svegliata, trovando il suo corpo completamente goduto.

Io non l’ho fatto.

Ricordando la notte precedente, pensai a come il nostro sesso fosse stato il risultato di un processo di condivisione, perdono e vicinanza.

Il sedere della mamma, mi sembrava, non era mio e potevo prenderlo quando volevo. E, sebbene il giorno prima i segnali fossero stati tutti positivi, non ero certo che avrebbe permesso, e tanto meno apprezzato, un’improvvisa e non invitata impresa sessuale sul suo corpo nel cuore della notte. Inoltre, non mi era del tutto chiaro che fossi un partner sessuale gradito. Dopo tutto, mi aveva chiamato con il nome di mio padre quando l’avevo montata prima.

Chiusi la porta e mi sedetti sul letto, accanto a lei. Poi sussurrai il suo nome.

Non “mamma”. Il suo nome. “Beth”, mormorai.

Allungai la mano e le strofinai dolcemente la spalla.

“Beth”.

Si agitò, borbottando: “Hmm?”.

“Sono…”, esitai. “Ho freddo”.

Lei allungò la mano all’indietro. Le sue dita trovarono la mia coscia e la strinsero.

Scivolai accanto a lei, premendo i nostri corpi l’uno contro l’altro. Uno strato di calore si formò dove il mio petto si univa alla sua schiena. La mia mano si posò sul suo seno e il mio viso nell’incavo del suo collo. Annidai la punta del mio pene, ancora eretto, tra i due morbidi globi del suo sedere.

“Mmm”, canticchiò la mamma. “È bello.”

Baciai la pelle liscia del suo collo. Mi agganciai lì e succhiai delicatamente. La sua pelle aveva un sapore fresco e gradevole.

“Hai bisogno di me, Jake?”, mormorò assonnata.

“Ti voglio, Beth”, borbottai, staccando brevemente le labbra dal suo collo.

Rotolò verso di me, scendendo leggermente in modo che la mia testa fosse leggermente più alta della sua. Con gli occhi chiusi, cominciò a darmi piccoli baci sul mento e sul collo. I suoi polpastrelli disegnarono leggeri cerchi sul mio petto e sul mio stomaco.

Gemevo.

“Cosa vuoi, Jake, tesoro mio?”, la sua voce era ariosa e bassa. Prima che potessi rispondere, mi unì la mano e se la portò al viso. Mi baciò l’indice e poi vi fece scorrere intorno le labbra, succhiandolo e massaggiandolo con la lingua. La sua bocca era morbida, calda e molto, molto umida.

“Cosa vuoi, Beth?” Chiesi, a fatica. Era una sensazione troppo bella e alcune parole mi si bloccarono in gola.

Le sue labbra si staccarono dal mio dito e lei sussurrò: “Voglio soddisfare il mio uomo”. Lasciò la mia mano e scivolò lungo il letto, baciando il mio corpo. All’altezza del mio petto, si fermò. I suoi occhi, assonnati ma adoranti, si fissarono sui miei.

“Non so bene come, però”, cominciò. “Mi aiuterai a decidere?”.

Annuii.

“Mi piace quando mi passa su tutto il viso. Mi piace che sia caldo e poi che si raffreddi, e mi piace la strana sensazione che si prova dormendo con questo prodotto sulle guance e sulle labbra. E al risveglio mi piace sentirmi sporca e sexy con tutto quello sperma secco sulla faccia”. Mi guardò, in attesa.

“Anche a me piace”, dissi, ancora scosso dal suo linguaggio. Mi piaceva il suo modo di parlare sporco.

Lei sorrise e disse: “Ma mi piace anche quando è sulle mie tette. Posso guardare la tua faccia quando sborri. È difficile guardare la tua faccia quando sborri sulle mie”.

Annuii.

“E quando è sulle mie tette, posso leccarlo via e mi sento ancora sexy, appiccicoso e sporco quando vado a dormire”.

Annuii.

“Ma mi piace anche ingoiarlo tutto”, disse. “Vedo il tuo viso, sento il tuo cazzo pulsare sulla mia lingua e tra le mie labbra, ed è così pulito e perfetto: da te a me. Nessuna fuoriuscita. Nessun disordine. E sento quella sensazione di sporcizia sexy dal sapore nella mia bocca e dalla sensazione nella mia pancia”.

Annuii.

“Non lo so”, mormorò, e i suoi occhi mi fissarono come se avesse davvero bisogno di aiuto per prendere una decisione.

“Nella pancia”.

Il suo viso si illuminò e i suoi denti brillarono nel suo sorriso. “Bene, perché ho un po’ di fame”.

Si avvicinò. Quando non baciava, mi sussurrava.

“Fammi succhiare il cazzo del mio Jake”.

“Fammi sentire così bene.”

“Fammi ingoiare la sborra del mio Jake”.

“Lascia che mi nutra del suo corpo”.

Senza baciare e leccare, le sue labbra mi accolsero immediatamente.

Ho avuto un sussulto. Le sue parole e i suoi sguardi mi avevano già portato al culmine dell’attesa.

Eravamo su un fianco e la mamma mi guardò per tutto il tempo. A parte qualche battito di ciglia, i nostri occhi si fissarono l’uno sull’altro.

La sua mascella si spalancò per accogliermi. La sua pelle cremosa affondava intorno agli zigomi con il risucchio e le sue labbra erano grasse mentre scorrevano lungo l’asta. Lavorava lentamente, con apparente piacere.

Non era rumorosa o sciatta. Era pulita e per lo più silenziosa. Gli unici suoni che sentivo da lei erano l’occasionale ronzio di soddisfazione delle sue labbra e un rantolo periodico che emanava dalla sua gola.

Io non ero altrettanto silenzioso. Quasi appena iniziò, cominciai a gemere il suo nome. Era dolorosamente bello e cercavo di ansimare o di trattenere il respiro. La scalata stava iniziando.

Si fermò, all’improvviso. Poi, guardandomi, baciò la punta. Non disse né fece nulla, si limitò a guardarmi con un accenno di sorriso.

Il mio petto si gonfiava e si espandeva. Sbuffai: “Ti prego, Beth”.

“Sei pronto?”

Annuii.

“Mi dai da mangiare?”.

“Sì.”

Lasciò che le sue labbra si trascinassero intorno alla punta, continuando a guardarmi. Era giocoso il modo in cui lasciava che le sue labbra stuzzicassero la testa della mia erezione, il modo in cui i suoi occhi mi scrutavano in cerca di una reazione. Sorrise e poi mi morse delicatamente il pene.

Per la seconda volta fui colpito dalla sua giovinezza. Non sembrava la donna di mezza età che era. Qualcosa nei suoi occhi e nel suo viso dava l’impressione di una donna molto più giovane. Erano pieni di energia e di voglia di fare. Il suo portamento, pensai, era più simile a quello delle ragazze della mia età. In un certo senso, mi ricordava Lia ed Emma.

Non era la stessa donna che mi dava piacere e mi insegnava il sesso per riempire i contenitori. Era qualcosa di nuovo.

Pensavo che fosse uno scorcio della giovinezza di mia madre. Ecco com’era per mio padre quando erano giovani e innamorati. Questo è il tipo di amante che era: energica, tenera, che dava tutto e sorprendentemente giocosa.

“Cosa?”, chiese timidamente, vedendo, suppongo, quanto attentamente osservassi ogni suo movimento.

“Sei incredibile”.

Sbatté gli occhi e mi chiese se ero stato stuzzicato abbastanza.

Annuii.

“Mi guardi mentre lo ingoio?”.

Annuii.

“Non chiudere gli occhi”, mi esortò.

Scossi la testa.

Ho resistito trenta secondi, forse. Erano i suoi occhi. Si fissarono sui miei e si nutrirono della mia reazione. Le piaceva quanto mi stava facendo sentire bene.

Volevo chiudere gli occhi, ma non lo feci. Invece, le afferrai la testa con entrambe le mani. Mentre i muscoli dello stomaco si stringevano, mi piegai verso di lei.

Sentendo le onde di liberazione, trattenni il respiro. Le cullai il viso, tenendolo puntato verso il mio, e ascoltai i suoi sorsi gutturali. Non lo trattenne in bocca, inghiottì mentre arrivava, al ritmo delle pulsazioni.

La liberai dalla mia presa nello stesso momento in cui il respiro che avevo trattenuto mi uscì in un lungo e basso ringhio.

Mamma mi tenne in bocca, succhiando e ingoiando, per qualche altro secondo. Quando lasciò che la mia erezione si liberasse, il suo viso si illuminò. “Buon anno, Jake”, sussurrò.

Mi rotolai sulla schiena, completamente svuotato.

Lei si accasciò sulla mia pancia.

Ci addormentammo così.

***

Mi svegliai di nuovo quando sentii mamma sotto la doccia, che si preparava per andare al lavoro. I giorni di festa sono spesso i suoi preferiti. La casa è vuota e lei può fare un sacco di cose, dice. Presi i boxer e tornai in camera mia.

Sdraiato sul letto, mi accorsi che non riuscivo a riaddormentarmi. Avevo troppe domande che dovevano ancora trovare risposta.

Quanto stava fingendo la mamma? Mi aveva chiamato “Jake”. Io avevo fatto finta di niente, chiamandola “Beth” e non “mamma”. Sembrava che non le importasse o che le piacesse davvero. Era qualcosa che voleva o aveva bisogno che facessi? Era così stanca da crederci davvero?

E quando si è svegliata e si è fatta la doccia? Non mi aveva visto lì a letto con lei?

E perché era così diversa, così giovane, quando eravamo insieme come Beth e Jake, soprattutto rispetto alle volte precedenti, quando mi aiutava con i contenitori?

Mi stava aspettando nella notte? Era per questo che le coperte erano abbassate e lei non indossava le mutandine?

Voleva che continuassi a farle visita? Ci sperava ieri sera?

Questi pensieri furono interrotti dal rumore dei passi della mamma, che si dirigevano verso le scale o verso la mia stanza.

Chiusi gli occhi di scatto e rimasi completamente immobile.

Lei entrò silenziosamente nella mia stanza.

La sentii avvicinarsi a me. Sentii che stava in piedi sopra il mio corpo e mi guardava. Dovevano essere quindici secondi che era lì. Quasi sobbalzai quando mi baciò la guancia. Poco dopo se ne andò.

Avrei dovuto parlarle, farle le domande che avevo.

Decisi di non farlo e non so perché. Suppongo che fossi troppo confuso su tutto.

Cosa diavolo stava succedendo alla mamma?

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